Ho disfatto lo zaino, lavato i vestiti e riposto il sacco lenzuolo: tempo di bilanci e di mettere in parole le mie impressioni su questa settimana.

Dal 7 al 13 luglio ho percorso l’Alta Via interamente a piedi tra Forno di Zoldo e la birreria Pedavena, aggirando i monti del Sole a nord sul percorso tematico “La montagna dimenticata”. Quella di non fare nessun trasferimento in bus è stata una scelta di cui ovviamente qualche volta mi sono pentito mentre macinavo chilometri a bassa quota sotto il sole, ma che adesso mi rende felice.

Di questo percorso mi rimarranno la straordinaria varietà di ambienti attraversati, di paesaggi così diversi e tutti comunque grandiosi ed emozionanti, dai prati immensi intorno a Malga Erera alle pareti imponenti del Sass de Mura.

Questa varietà vale poi anche per le persone che ho incontrato nei rifugi lungo il cammino: come, ad esempio, gli stranieri che al Rifugio Bianchet concludono festanti la loro Alta Via Numero 1; come i pochissimi che quasi come eremiti vengono a cercare pace e tranquillità nel pianoro di Malga Erera; oppure come un escursionista che partito da solo da Prato era salito fino al Rifugio Dal Piaz semplicemente per esplorare e conoscere meglio le vette feltrine.

Ho percorso l’alta via da solo, è stata in parte una scelta, in parte forse ero troppo stanco di aspettare l’occasione giusta per una esperienza che desideravo fare da tanti anni. Pur girando spesso solo, è stata in effetti la prima volta che ho fatto una escursione di così tanti giorni, e così sfidante.
Ma d’altra parte, quando la sera si passa il proprio tempo in un rifugio “vero”, che del rifugio ha saputo conservare quell’ambiente frugale e la convivialità tra camminatori, non si è mai soli davvero.

L’Alta Via Dolomiti Bellunesi è un percorso certamente impegnativo, dal punto di vista fisico nel suo complesso, ma anche tecnicamente in diverse tappe. Ho avuto la fortuna di trovare un meteo favorevole per buona parte del cammino, ma di certo alcuni passaggi sarebbero stati molto più complicati con il maltempo.

Da parte mia ho sentito che in quanto escursionista mi veniva lasciata spesso carta bianca rispetto a varianti, punti di appoggio possibili, deviazioni, ma insieme a questa libertà ovviamente arriva anche la responsabilità di sapersi orientare in ambiente e fare le scelte giuste. E secondo me è quando si possono davvero fare delle scelte che si può assaggiare davvero un po’ di avventura!

Su questa alta via l’avventura la puoi trovare subito e magari anche all’improvviso, ad esempio quando percorrendo le cenge erbose degli Slavinàz, la traccia si perde nell’erba alta oppure incrocia una piccolissima frana qua e là: e allora bisogna un po’ inventarsi sul momento un modo sensato per addomesticare il pendio.
Oppure quando ti rendi conto che un ponte su cui passa il sentiero “La montagna dimenticata” non c’è più, e devi girarci attorno! Ma come, nella Tabacco del 2023 c’era… (e in quel momento, pensi che “dimenticata” lo è davvero)
O ancora, più semplicemente quando in valle Imperina il sentiero che sale dalle miniere è poco battuto, ed è talmente invaso dalla vegetazione da dover aguzzare bene la vista per seguirlo. Una fatica, e un bagno di rugiada assicurato. Però vuoi mettere quando poi tra le piante sbuca fuori quel tabià abbandonato che la natura si sta riprendendo?

E così da escursionista bisogna farsi anche un po’ interpreti della montagna e imparare ad adattarsi, a non limitarsi a seguire soltanto acriticamente una lunga serie di bolli e cartelli ma a guardarsi attorno e capire bene l’ambiente attorno a sé. È più scomodo certo, ma in montagna più che mai spesso la felicità è un po’ scomoda!
Sono grato al gruppo di lavoro dell’alta via per tutti i consigli e l’idea di percorso che aggira i monti del Sole a nord.
Trovo che la partecipazione attiva che si richiede agli escursionisti sia una caratteristica che rende questa alta via diversa da tutti gli altri grandi itinerari dolomitici, e per me questo è stato fonte di soddisfazione tanto quanto l’escursione stessa.

L’Alta Via Dolomiti Bellunesi è stata la mia prima Alta Via ed ho scelto di percorrerla da sola.
Ogni giorno di trekking è stato una bellissima sorpresa, con panorami e montagne sempre differenti.
L’Alta Via Dolomiti Bellunesi incrocia l’Alta Via nr 1 e poi anche la nr 2. Queste ultime a luglio erano frequentate quasi esclusivamente da turisti inglesi ed americani perciò nei rifugi c’è stata l’occasione (molto piacevole) di conversare con stranieri e confrontarmi su tanti aspetti e tematiche.
Durante il giorno invece ho avuto la possibilità di camminare pacificamente in solitudine incontrando davvero poche persone.
Le tappe che ho apprezzato di più sono la seconda dal Rifugio Pramperet al Bianchet complice anche un tempo splendido. Questa tappa è forse la più varia per panorami: salendo verso la forcella, alle spalle ci sono così tante montagne meravigliose che resteresti li ad ammirarle per ore, poi superata la forcella il panorama cambia con il gruppo dello Schiara.
Altra tappa fantastica la salita ai Piani Eterni (eccetto i primi 10 km su asfalto) ripagati dal sentiero e dall’ambiente davvero unico quando si arriva a malga Erera. Ho avuto la fortuna di essere l’unica ospite di malga Erera e se non avessi avuto gli altri rifugi prenotati sarei rimasta li molto volentieri. E’ un luogo magico dove regna pace e silenzio (le mucche di Novella non erano ancora arrivate). Si entra davvero in un’altra dimensione.

Il giorno successivo ho percorso la Variante Alpinistica che porta al rifugio Boz. Mentalmente molto impegnativa perchè ero sola e non sapevo cosa aspettarmi perciò l’ho affrontata con molto timore.
Arrivata alla fine delle cengie ero davvero provata. Con il senno di poi posso dire che bisogna avere un passo sicuro ma si può fare tranquillamente, basta guardare bene dove mettere i piedi.
Finite le fatiche rimane un’altra parte di percorso che mi ha sorpresa davvero molto per la presenza di piccole cascate e bacini d’acqua turchese che ti fanno venire voglia di togliere le scarpe e mettere i piedi a mollo.
La penultima tappa che attraversa le Vette Feltrine permette di vedere ancora altri panorami molto belli, l’ho percorsa in una giornata davvero caldissima ed il sentiero è sempre al sole, nonostante questo è stata una delle mie giornate preferite.

L’unico neo di questa Alta Via è la tappa nr 4 perché il sentiero della Via degli Ospizi è poco curato perciò ci si ritrova a camminare nell’erba alta ed è molto facile sbagliare. Davvero un peccato perchè in alcuni tratti il percorso sarebbe davvero bello.
Questa Alta Via è l’ideale per quelle persone che desiderano camminare in solitudine e tranquillità.

Il mio viaggio comincia innanzitutto nella mia mente circa quattro mesi prima del giorno che mi ero prefissato per la partenza che sarebbe stata in agosto. Rapito un pò dalle immagini affascinanti dei luoghi di passaggio dell’Alta Via Dolomiti Bellunesi, ma anche dalla volontà di fare un viaggio in solitaria con un po’ di sano spirito di avventura. I luoghi li conosco già quasi tutti ma ho ora la possibilità di unire varie escursioni fatte nel tempo in un’unica ed affascinante traversata: L’Alta Via Dolomiti Bellunesi. Quindi, mi informo, il più dettagliatamente possibile su sentieri e dislivelli e creo le mie tappe, con eventuali varianti. Prenoto anche le strutture che mi ospiteranno per i pernottamenti e soprattutto spero nella clemenza del meteo! Quello che segue è il diario del mio viaggio, non una indicazione dettagliata per i prossimi frequentatori…

 

Lunedì 9 agosto 2021. Ospitato da un amico a Pralongo, parto alla volta di Forno. Prima tappa d’obbligo il caffè al Fornel: la giornata parte alla grande! Opto per salire al Rifugio Sora al Sass da dove mi godo il panorama stupendo su Castello di Moschesin e San Sebastiano sorseggiando una bella birra fresca. Ritorno a valle lungo il sentiero attrezzato e mi congiungo al sentiero che di solito percorre la navetta verso la Malga Pramper: c’è un gran via vai di persone, d’altra parte è la settimana di Ferragosto. Proseguo però direttamente verso il Rifugio Sommariva Pramperet e una volta arrivato mi godo il meritato relax circondato da avventurosi ragazzi stranieri che stanno ultimando l’Alta Via Numero 1. Un bel tramonto e un bel grappino, mi indicano che è già ora di andare a letto. Domani si ricomincia subito!

Martedì 10. Riparto verso le valli glaciali dei Van de Zita. L’aria è bella fresca ma da sopra si apre un panorama mozzafiato sul Pelmo con il suo immancabile cappello di nuvole. Dalla forcella scendo verso il Rifugio Pian de Fontana; una piccola pausa e poi via verso il Bianchet. In un torrente c’è un insolito cumulo di neve, sembra un ponte! Arrivo in una spiaggia di erba con sdrai e panche: è il prato antistante il Rifugio Bianchet gestito da Enzo e Sonia. Una doccia de-faticante e poi si passeggia un pò attorno al rifugio. La mancanza della connessione internet fa si che possa leggere tutte le riviste. Una cena con due signore ospiti del rifugio, due chiacchiere, un paio di grappe… che piacevole serata! È questo il valore aggiunto dell’ospitalità di montagna: che non sei mai solo.

Mercoledì 11. Il cammino riprende percorrendo l’infinita mulattiera all’ombra dei faggi che porta alla Statale agordina. Decido di saltare la parte “degli ospizi” ed invece visito le parte iniziale della Val de Piero guadando il Cordevole in un punto sicuro, con minore flusso d’acqua. Gli scarponi si sono un pò bagnati ma mi ritrovo ora direttamente nel sentiero che porta verso il Mis. Arrivato nel tardo pomeriggio all’Area camping della Val Falcina con l’aiuto di Daniele, gestore del posto, allestiamo una tenda fornita dagli sponsor dell’Alta Via. La cena è eccezionale, con prodotti del posto. Poi chiacchierando con Lucia, la gestrice del campeggio, si arriva a scoprire che non solo è originaria della mia zona ma pure parente di un caro amico. Quel che si dice, “piccolo il mondo!”

Giovedì 12.  Si riparte, a bomba! Un saluto all‘“Orso delle Cascate della Sofia” e dopo una lunga strada con molte gallerie scavate nella roccia lungo il torrente Mis arrivo a Mori e Pattine. Sono posti dove si ha l’impressione che sia montagna dimenticata, ma resta sempre estremamente affascinante! Un lungo sentiero in un sottobosco afoso mi porta ai Piani Eterni… ed infatti arrivarci è stato veramente eterno! Mi accoglie la signora Novella della Malga Erera ed i suoi due aiutanti. Con altri ospiti del posto si parla di lupi e di cervi. Anche qui la mancanza di connessione dà invece importanza alla comunicazione con gli altri! Un bel piatto di risotto e formaggio mi ristora ma nella notte silenziosa l’ululare dei lupi è un pò inquietante…

Venerdì 13. Al mattino riprendo il viaggio dopo una buona colazione. Al passaggio verso la casera Brendol mi ferma però Marco, speleologo del posto. Mi chiede: “Sior, beveo un cafè ?” . Al caffè, si sa, non si rinuncia mai,  soprattutto se accompagnato da un giro di grappa aromatizzata, sempre offerta dal buon Sig. Marco.  Non manca ora l’energia per ripartire energia verso la Val Canzoi, dato che il passo dell’Omo è attualmente impraticabile. Lungo il sentiero 806 mi porto in ambiente molto severo, tipico delle Vette Feltrine. Percorro il “Troi dei Caserin” ed arrivo al Rifugio Boz. Non immaginavo però che la serata che mi aspettava qui si rivelasse inaspettatamente divertente: ci sono infatti tre ragazzi che mi invitano a fare il quarto per una infinita partita a scopa, condita da chiacchiere di esperienze montanare, da buon cibo per cena e da tante birre… Dopo una sera così “croccante” domani sarà molto dura!

Sabato 14.  Lasciati i compagni di carte si parte per la traversata delle Vette. Fatto lo Scarnia (il pezzo più esposto) e tutto un saliscendi in un ambiente… indescrivibile! Dalla piazza del Diaol passo alla “Busa de Pietena” ed arrivo così a quelle che sarà l’ultimo pernottamento del mio viaggio: il Rifugio Dal Piaz dove la leggendaria pizza di Mirco mi fa riprendere dalle fatiche della giornata. Cala la sera, un pò nuvolosa e dopo abbondante cena chiacchiero un pò con un ragazzo che ha portato la figlia  di 4 anni a dormire in bivacco. Nel frattempo arriva altra gente del posto. Hanno fatto tanta strada di sera solo per bere una birra al rifugio! Tra di loro ci sono dei ragazzi della Valle di Lamen che mi danno buone informazioni per altre possibili future escursioni da fare nella zona.

 

Domenica 15. È finita! Si parte per Feltre, dove un amico mi aspetta. Il bottino finale sono la spilla dell’Alta Via Dolomiti Bellunesi e la maglietta, sempre dell’Alta Via, per mio nipote. Il bilancio finale? Tante camminate in solitaria ma anche tanta compagnia e convivialità trovata in tutti i posti di ristoro. Fatica e spensieratezza, questo è un pò lo spirito semplice di chi va in montagna!

28 Luglio 2020

Reduci dal Cammino nelle Terre Mutate (cammino da Fabriano a L’Aquila nato l’indomani del terremoto del 2009) io e mia moglie Giulia arriviamo a Forno di Zoldo con treno da Padova a  Belluno e bus Belluno-Longarone e Longarone-Forno.  Nelle nostre escursioni ci muoviamo sempre con i mezzi pubblici, è più rilassante, ecologico, permette di conoscere meglio il mondo che ti circonda e di parlare con le persone del posto.

Conoscevo Forno dal libro di Sebastiano Vassalli “Marco e Mattio” che mi era molto piaciuto per la accurata ricerca storica dell’autore. Da questo libro avevo appreso della grande povertà di questa valle, dei mestieri delle genti zoldane (carbonai, legnaioli) e da anni avevo la curiosità di conoscerlo. Ancor più interessante di quanto mi attendessi, affascinanti le borgate sulle colline (Col, Pieve, Astragal, Palù, Casal… ), con le preziose chiese (come la chiesa di San Floriano, preceduta da una salita con pregevole via crucis in legno), il museo di storia naturale, il museo del ciodo e del ferro. Apprendiamo della maestria degli intagliatori di legno (la famiglia Besarel ha lasciato molte testimonianze artistiche), esportata a Venezia negli squeri per le gondole. Sorprendente il gran numero di fontane con acqua freschissima, sparse per le borgate. Una piacevole passeggiata il giorno prima della partenza ci ha permesso di scoprire queste preziose realtà che si potrebbero perdere, nella foga di iniziare l’escursione. Conversando con la signora del nostro BB scopriamo la tradizione dei gelatieri zoldani esportata nel mondo. La Val Zoldana, insomma, valle di operosità creativa!

29 Luglio 2020

Si parte dal ponte che ricorda l’emigrazione zoldana in Brasile, seguendo il sentiero n. 531 (diventerà poi 521) che scegliamo perché sicuramente meno battuto, mentre il classico sentiero che porta alla malga Pramper l’avevamo già percorso qualche anno fa lungo la Alta Via N. 1. Questo risulta più lungo ma è appagante la vista sulle cime del Bosconero. Alla casera Col Marsanch sosta, di fronte a noi il Sass di Bosconero.

Il sentiero è un continuo sali-scendi, ma comunque piacevole e non particolarmente impegnativo. Alla malga De Cornia il tempo sembra cambiare. Si sente lo scampanellio degli animali che non si vedono, devono essere entrati già nella stalla. Il sentiero non è segnato, ma lo intuiamo che sale alla sella, tralasciando delle altre tracce che portano a sinistra della malga. Acceleriamo il passo, il tempo sempre più minaccioso. In lontananza avvistiamo, non il rifugio, ma la malga casera Pramperet giù nella valle. Arriviamo infine al rifugio Sommariva che hanno già servito le cene. I ragazzi del rifugio sono molto disponibili e ci servono una ottima cena! Uno dei ragazzi della gestione, di Belluno, ci spiega la strada dell’indomani. Nel rifugio c’è un gruppo di tedesche, mi colpisce una di queste che disegna su un album i paesaggi e poi rimane in contemplazione davanti al profilo buio delle montagne. Nella notte si scatena una violenta tempesta.

30 Luglio

Foto ricordo davanti al rifugio con il logo dell’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e poi si parte per il rif Pian De Fontana. Percorso spettacolare, nella prima parte in comune con l’alta via N.1. E infatti ritroviamo le ragazze tedesche al passo, una di loro intenta a disegnare le vette.

Noi poi scendiamo per il sentiero n. 518 fino al torrente per poi risalire. Il percorso, fortunatamente è nel bosco, visto il caldo torrido di questa giornata. Si sale in ombra per poi scendere, sempre nel bosco; ecco in lontananza il Bianchet!! E’ sempre una gioia avvistare da lontano il rifugio, seguirlo passo passo  mentre si ingrandisce e noi ci avviciniamo.

E’ circondato da un prato verdissimo che invita finalmente al riposo.

La notte il gestore ci invita ad appostarci sulla terrazza del rifugio: un nutrito gruppo di cervi, una ventina, puntualmente arrivano in prossimità del rifugio per approfittare di alcuni resti di cibo, e fanno la spola bosco-rifugio più volte, il gestore ci dice che è così tutte le notti.

31 Luglio

Discesa alla strada Statale agordina, ad alcuni può sembrare noiosa, ma noi la apprezziamo perché è una valle molto stretta, diventa una forra, in basso lo scrosciare del torrente Vescovà. Una freccia ci indica di girare a sinistra per la fermata del bus.

Arriviamo al canale d’Agordo e aspettiamo il bus da Agordo diretto a Belluno, decidiamo di prenderlo perché il gestore del Bianchet ci dà la notizia che da La Muda la Via degli Ospizi non è messa benissimo, è meglio dalla stazione forestale di Candaten, antico ricovero per pellegrini dove c’è un guado del Cordevole facilmente sorpassabile. Nel bus però apprendiamo che non ferma alla stazione forestale, ci fermiamo direttamente a Peron. Qui la passerella sul Cordevole è caduta durante la tempesta Vaia. Non ci rimane che attraversare il torrente a piedi nudi. E’ caldo e le acque fresche sono piacevolissime, insomma l’inconveniente della passerella si trasforma in un’occasione per rinfrescarci e per osservare i tantissimi colori dei ciottoli del Cordevole che formano un acquerello.  Sull’altra riva in lontananza si avvista la bianca sagoma della certosa di Vedana che raggiungiamo sotto il caldo torrido del primo pomeriggio. Purtroppo non è visitabile e ha perso lo scopo originario di accoglienza ai pellegrini che aveva quando sorse. Saliamo, in prossimità della chiesa di San Gottardo, il sentiero indicato come “Segato” in onore di Girolamo Segato, illustre cittadino di Sospirolo, egittologo che inventò una pratica di pietrificazione dei cadaveri nel XIX secolo. Il sentiero che sale nel bosco al di sopra della certosa è anche indicato come “sentiero delle chiese pedemontane” ma con la direzione dei cartelli opposta alla nostra. Bel percorso in ombra che sale fino alle Rosse Alte, un piccolo abitato con fontana e lavatoio. Da qui si scende, il percorso non è segnalato, al paese di Mis, con la originale chiesa del Cristo, a pianta centrale. Notevole il panorama delle vette dei monti del Sole, delle chiese, visibili perché sulla sommità di due colline, di Santa Giuliana e San Michele Arcangelo. Il villaggio di Mis ha un’atmosfera rilassante e pacifica, circondato da campi di granoturco, balle di fieno e frutteti. In questa dimensione bucolica ci godiamo il tramonto.

1 Agosto

Partenza da Volpez di Sospirolo molto presto la mattina, visti i Km che ci aspettano. Dopo poco appaiono le luccicanti acque del Mis che all’inizio formano un lago molto vasto. La passeggiata, anche se su asfalto, è piacevole, poche volte interrotta dal passaggio delle automobili. Passano invece molti ciclisti, ma percorrere questo vallone è piacevole anche a piedi, nonostante il caldo che nel corso della mattina si fa sempre più torrido. La lentezza ci fa percepire il graduale passaggio da lago a stretto vallone, sempre più stretto, e via via che ci inoltriamo in esso si fa sempre più silenzio, interrotto solo dalle acque del torrente. Belle anche le gallerie scavate nella roccia. Sosta ritemprante presso il bar alla cascata della Soffia, con la chiesetta di San Romedio, il santo che in Trentino, avendo perso il cavallo, riuscì a cavalcare un orso. Brandelli di case lungo la strada danno un senso di isolamento e abbandono che incupisce. Contribuiscono a queste sensazioni anche le ferite inferte al bosco dalla tempesta Vaia, visibili qui, come anche nelle altre zone che attraverseremo. In fondo al vallone una stradina a sinistra ci porta a California, zona mineraria e poi turistica, distrutta dall’alluvione del 1966 e poi abbandonata. Il villaggio fantasma, ruderi delle case e del vecchio albergo, sono il simbolo dell’abbandono della montagna. Di qui il sentiero sale nella frescura del bosco, anche questa volta provvidenziale, visto il caldo torrido del primo pomeriggio. La salita è molto pendente, in lontananza le cime delle Pale di San Martino ci accompagnano, le slanciate vette danno slancio anche al nostro cammino. La faticosa salita  è appagata quando si apre davanti a noi la piana di Erera Brendol popolata di mucche e cavalli al pascolo. Grande è la gioia che ci dà questo ambiente pastorale, isolato e immerso nel silenzio, dal nome magico di “Piani Eterni”. Alla malga Erera conosciamo Novella, il gestore che produce dell’ottimo formaggio a latte crudo e ci serve una semplice e genuina cena. Conosciamo una famiglia trevigiana molto alla mano, pongono l’attenzione sull’isolamento del posto, non raggiungibile con i cellulari e per questo ancora più pregevole. Si dorme nel sottotetto della malga, che amplifica i rumori della immancabile pioggia, anche stanotte.

2 Agosto

I muggiti delle mucche ci risvegliano piacevolmente. Colazione con burro di malga, fotografia ricordo con Novella e partenza.

A malincuore si abbandona questo magico altopiano per scendere al lago della Stua. Scegliamo di scendere per poi risalire perché la guida stessa dell’Alta Via avverte della difficoltà del Passo dell’Omo per tratti molto esposti e per il tempo instabile previsto anche quest’oggi. Dal lago il sentiero sale, in lontananza scorgiamo infine il Boz. Il cielo è sempre più nero, ma arriviamo anche stavolta in tempo per ripararci dalla tempesta. Il gestore del Boz è molto disponibile a darci delle indicazioni per l’indomani; noi eravamo decisi a percorrere il sentiero basso per via del tempo instabile, ma lui ci consiglia comunque di passare per il sentiero molto più panoramico.

3 Agosto

Le previsioni per questo giorno mettono pioggia già dal primo pomeriggio, quindi partiamo presto e di buon passo prendiamo il sentiero n. 801. Il sentiero è molto godibile, alcuni brevi tratti sono esposti, ma li superiamo agevolmente, nonostante le vertigini di Giulia. E’ molto particolare la forma delle rocce alla Piazza del Diavolo, blocchi di grandi pietre quadrangolari. Il panorama in basso spazia sulla val Belluna: aveva proprio ragione il gestore del Boz! Incantevole la distesa multicolore dei fiori nel Buso delle Vette. Il Rifugio Dal Piaz è ormai vicino. Arriviamo per pranzo e degustiamo la famosa spianata del Dal Piaz, capiamo perché è, a ragione, così famosa, tanto che molti feltrini hanno preso l’usanza di salire quassù dal Passo di Croce d’Aune per cena, per poi ridiscendere in notturna. L’interno del rifugio ha una calda atmosfera, data anche dalle molte sculture in legno di artisti locali.

4 Agosto

Partiamo presto, che il cielo non è ancora minaccioso, ma con il timore che peggiori repentinamente. La strada in discesa è molto bella, davanti a noi la val Belluna, riconosciamo Pedavena e la città di Feltre. Entriamo nel bosco, dove sono collocate diverse sculture realizzate dai tronchi d’albero abbattuti da Vaia, con folletti, animali vari, una vera e propria galleria di scultura! Alla fine del bosco arriviamo all’inizio di Croce d’Aune, una freccia indica a sinistra l’Alta via N. 2. La imbocchiamo, il sentiero è una comoda strada sterrata, poi si gira a destra e scende, ma poi numerose intersezioni non segnate ci fanno perdere la giusta direzione (il responsabile dell’Alta via che poi contatterò mi spiega che i numerosi sentieri sono stati aperti recentemente per permettere la pulizia del bosco dai tronchi della tempesta Vaia). Eravamo diretti a Norcen, come spiegato anche nella guida dell’Alta Via, ma ci ritroviamo in Val di Lamen, il sentiero comunque è ugualmente godibile, anche perché la tempesta annunciata ancora non sopraggiunge. Bella la Val di Lamen, ancor più bella appare a noi che percepiamo la fine della escursione… arriviamo a Lamen, non ci sono bus per Pedavena o Feltre e quindi continuiamo a piedi per Pren e per Pedavena. Una signora a Pren ci dà un provvidenziale passaggio fino a Feltre, provvidenziale perché appena in tempo: inizia il temporale. A Feltre corriamo fino a piazza Maggiore, all’Ufficio informazioni turistiche, tappa obbligata per ritirare le spille dell’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e il diploma. Finale: foto con triangolo dell’Alta Via e sfondo di Piazza Maggiore sotto la pioggia!!!

Ho chiesto a un’amica, Barbara, che cammino avrei potuto fare sulle Dolomiti per la durata di 5 giorni. Mi ha subito risposto: l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi. Così sono partito!

In realtà il percorso indica 7 giorni. Ho fatto due conti, mi sono fidato un po’ dell’intuito e un po’ alla provvidenza, e ho pensato che potevo farcela anche in 5.

Domenica 30 giugno 2019 ho raggiunto Forno di Zoldo, ho lasciato lì la macchina e alle 15.30 ho iniziato l’ascesa della valle Balanzola fino al Rif. Praperét. E’ l’unico rifugio che avevo prenotato. Per gli altri avrei chiesto arrivando, così mi sarei sentito libero nel decidere dove pernottare.
I segni delle raffiche di vento di ottobre si vedono già nell’avvicinarsi alla Malga Pramper: faggi e abeti sradicati o spezzati e buttati giù. Nonostante ciò, non ho mai avuto problemi lungo tutto il percorso, ho sempre trovato o gli alberi già tagliati per liberare il sentiero, oppure la traccia nuova del sentiero attorno alle piante abbattute.
Il Rifugio
Pramperét era pieno di stranieri. A cena mi sono seduto accanto a due inglesi, e per fortuna uno dei due parlava un po’ di francese, così abbiamo conversato tutta la serata.
Finita la cena, ho chiesto alcune informazioni a un giovane del Rifugio che mi ha dato alcune dritte molto preziose circa l’itinerario e la tappa del giorno seguente. Faccio due passi serali per i pascoli. Alle 21 eravamo già tutti a letto.

Ore 7.00 colazione e partenza.
Mi aspettava una delle più belle tappe.
Si sale per un sentiero che attraversa una prima forcella, poi dei nevai, fino ad arrivare in cresta. Quindi si arriva alla forcella de
Zità. Salendo oltre i 2400 si vedono spuntare il Pelmo e poi il Civetta. Quindi si inizia a scendere per una valle.
In una zona all’ombra, a un metro da una fontanella costruita con un tronco scavato, una vipera
aspis era venuta a bere anche lei.

Arrivo al Rif. Pian de Fontana alle 10.30.
Poiché ero senza cartina (ero partito veramente in fretta!), una donna che gestisce il rifugio molto generosamente mi regala la sua cartina
consumata e a pezzi, tanto l’aveva usata, che comprende tutto il percorso che avrei dovuto fare. Un dono utilissimo! Ecco che la provvidenza già mi aiuta… Bevo una Lemon fresca e riprendo il cammino verso il Bianchet.

Bisogna scendere verso valle e poi risalire fino alla forcella La Varéta. Quindi si costeggia il monte in mezzo alle ginestre in fiore che emanano un profumo veramente soave. Ad un certo punto appare la Schiara, la montagna più alta e imponente delle Dolomiti bellunesi. Si scende quindi alle sue pendici sulla valle fino a raggiungere il Rif. Bianchet, circondato da un prato tagliato all’inglese, proprio sotto la maestosità della Schiara. Arrivo che sono soltanto le 13.30.
Faccio conoscenza con una coppia canadese e un inglese più anziano che parlano
anche il francese. Sia la coppia che l’uomo solitario, sono in cammino da 10 giorni. Quella, per loro, è l’ultima tappa. La coppia è partita dal Lago di Braies.

Prima di cena mi dedico un po’ di tempo allo spirito: passo due ore in mezzo al bosco, solo con la Bibbia. Inizio la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Luca. La serata sono a tavola con gli amici conosciuti nel pomeriggio più due giovani finlandesi. Capisco gran poco perché parlano quasi sempre in inglese. Il tema comunque sono i viaggi! Dormo nel camerone con l’inglese. Per fortuna non russa come gli altri la sera precedente.

Ore 7.00 colazione e partenza. Mi aspetta la tappa di avvicinamento, così la chiamo io. Perché si tratta di scendere dal primo gruppo di montagne e raggiungere il secondo gruppo, le Vette Feltrine, percorrendo la lunga valle del torrente Cordevole e poi la valle del Mis.
La discesa dal
Bianchet è abbastanza lunga. Non taglio per l’ultimo tratto di sentiero che mi porterebbe alla fermata dell’autobus, ma percorro la strada fino in fondo, in modo da essere più vicino alla località Agre. Infatti, giunto alla strada provinciale, devo fare quasi un chilometro sul ciglio della strada (da stare attenti!) fino a raggiungere il ponte che permette di attraversare il fiume e di portarsi dall’altra parte della valle. Quella è la località Agre, dove sorge un vecchio Ospizio ristrutturato.
Il sentiero che da lì parte (proprio sulla destra dietro la fattoria) prende proprio in nome dell’Ospizio: sentiero degli Ospizi.
Mi aspettavo un tratto di strada tranquilla che costeggiasse il fiume. E inv
ece mi ritrovo a salire per bene, fino a raggiungere i tralicci della corrente elettrica. Ad un certo punto due cervi maschi, e due femmine mi attraversano davanti il sentiero. Il percorso è un sali scendi, abbastanza duro per il caldo (siamo a bassa quota), fino a ridiscendere sul livello del fiume e costeggiarlo per qualche centinaio di metri. Si arriva a un cancello che dà l’ingresso ad un grandissimo pascolo, il Salèt: ci sono cavalli e caprioli che brucano l’erba insieme. Faccio una foto, quando mi si accosta una donna che mi saluta. E’ una delle pochissime persone che incontro lungo il cammino, eccetto quelle in Rifugio. In tutto cinque-sei in 5 giorni. Attraversiamo insieme la riserva, mi dice che sta facendo una ricerca dottorale per l’università di Venezia. Arriviamo alla sua macchina e sapendo che devo andare al Mis mi dà un passaggio. Così mi risparmia un bel pezzo di strada asfaltata fino al campeggio. Ci salutiamo, la ringrazio e mi lascia alcune prugne avanzate dalla sua escursione. Il giorno dopo saranno preziosissime!

Al camping del Mis sono accolto dai due gestori, Geky e Gabry. Mi danno un piccolo appartamento, veramente splendido. Doccia e pisolino. Poi la Bibbia. La sera mangio un toast al chiosco del camping, quindi chiedo informazioni circa la salita del giorno seguente. Vorrei arrivare al Boz, ma mi dicono che è troppo lunga. Secondo i miei calcoli dovrei farcela. Geky allora mi propone di accompagnarmi la mattina seguente fino al termine della valle del Mis con la sua macchina, così da accorciare un po’ la tappa. Accetto molto volentieri. Mi faccio fare due panini per il giorno dopo e bevo una birretta.

La mattina alle 7.30 Geky è pronto ad accompagnarmi. Ho una zecca da togliere però. Me la toglie, mi offre una tazza di caffè e, vedendo il mio povero bastone, mi offre il suo bello robusto e levigato. Partiamo. Mi lascia sul ponte da cui parte la strada che mi porta a Pattine, una contrada da cui inizia il sentiero. Ci salutiamo. La provvidenza mi accompagna. Mi avvio per la strada, arrivo a Pattine, cerco il sentiero, lo trovo sulla destra di una casa, e comincio a salire. Una salita lunga, tra gli alberi di faggio. Molti sono abbattuti dal vento di ottobre. Il sentiero è percorribile, pulito.
La valle si chiama vallone di
Campotorondo. Appaiono i pini, poi i mughi, i primi prati, poi una piccola malga abbandonata. Finalmente sono in quota e il paesaggio si apre su pascoli e rocce. In breve sono al Biv. Campotorondo. E’ tenuto benissimo, con sala, cucina, camere. C’è acqua. Mangio un po’ di fichi, mandorle e cioccolata che mi ero portato da casa. Quindi riprendo il cammino.
Non ci vuole molto a raggiungere i Piani Eterni di Malga
Erera. Un posto meraviglioso. La malga è chiusa (dovrebbe aprire tra pochi giorni, mi hanno detto). Non posso attardarmi a guardare, devo riprendere il cammino che è ancora molto lungo. Il realtà per me sembrava breve. Guardo la cartina e i segnali che sono affissi vicino alla Malga. Prendo un sentiero che sale verso la montagna che sta sopra la malga. Mi era stato detto che dovevo fare una forcella. Arrivo a metà monte quando incrocio un giovane, italiano, e ci salutiamo. Viene a conoscere la mia intenzione di andare a pernottare al Boz. Sono già le 11.30. Mi chiede se ho una cartina. L’apro e indico a lui il Boz. Mi sembrava vicino, gli dico. Lui mi fa segno: il Boz non è quello, è un altro! Sulla mia cartina avevo scambiato il Rifugio Boz con l’Albergo Alpino Boz che si trova poco sotto il lago della Stua ed è chiuso! Per quello mi pareva così raggiungibile!! Invece il vero rifugio Boz era ben più lontano, dovevo attraversare un bel po’ di montagne! Ora capisco perché mi avevano detto che era arduo il mio progetto… La cosa positiva è che mi trovavo sul sentiero giusto. La cosa negativa è che anche quel giovane mi ripeteva che arrivare al Boz dopo essere saliti da Pattine era molto dura. Il giovane mi aveva schiarito bene le idee! Lo ringrazio come fosse stato un angelo mandato dal cielo.

Prima di lasciarci mi consiglia di fermarmi al biv. Feltre, che è più vicino, ed è in una posizione spettacolare. Faccio tesoro del suo suggerimento. Il mio dubbio consisteva nel cibo, perché ne avevo poco. Non avevo ancora intaccato i due panini, e iniziando a pensare al bivacco, ho capito che dovevo razionalizzare il cibo che avevo. Così sono ripartito più lucido e sereno, con un po’ di tremore comunque per quello che mi aspettava. Il tempo intanto si faceva nuvoloso. Il giovane mi aveva detto che avevano previsto temporali. Così camminavo più speditamente.
Il paesaggio è meraviglioso, finché si raggiunge la valle sulla quale domina il Piz di Sagron. A metà montagna, su un pianoro, si vede il Bivacco. Si vedono i primi lampi. Non ho dubbi: dormirò al bivacco. Salgo per una torrente la cui acqua è limpida, trasparente. Ci sono molte cascate, che risuonano nella valle. Raggiungo il pianoro ed ecco il bivacco. Una casetta è chiusa, l’altra aperta. Il posto è magnifico, il più bello che abbia visto in questo giorni. Mi sistemo, mi prendo l’asciugamano, il ricambio e scendo a farmi il bagno in una delle vasche che il torrente ha scavato. Mi butto dentro, mi insapono, mi ributto. Faccio appena in tempo ad uscire che iniziano le prime gocce. Prendo allora tutte le mie cose, e risalgo il sentiero, nudo, coperto dal poncho. Il temporale arriva poco dopo. Non riesco a chiudere la porta esterna in lamiera, quindi la lego con un filo di ferro e tengo forte quella interna. Le raffiche di vento sono forti. Viene giù grandine e pioggia. Intanto inizio a mangiare il panino al formaggio. Fatico a mandarlo giù. Passa il temporale, mi tranquillizzo. Riprese un po’ le forze apro la Bibbia, sempre al cap. 10 di san Luca. Alle 19 mi viene fame. Allora mangio con gusto il secondo panino allo speck. Esco a gustarmi il paesaggio, le montagne di nuovo illuminate dal sole, l‘acqua che scende dalle rocce, l’erba verde, il cielo azzurro. Verso le 21 vado a letto.

Alle 6.20 mi alzo, mangio ficchi secchi e mandorle e mi avvio verso il Rif. Boz. Ci metto due ore e mezza ad arrivare. Alle 9.30 sono là. Posto meraviglioso, accoglienza deliziosa. Chiedo subito una colazione abbondante. Degli uomini stanno issando l’alza bandiera, mentre un giovane sta installando la spina della birra. Ci troviamo tutti attorno al tavolo. Mi offrono un po’ di salame. Mi faccio un panino per il pranzo.
Rinfrancato, chiedo alla signora che gestisce il rifugio informazioni circa il percorso. Devo arrivare al
Dal Piaz. E’ lunga e occorre stare attenti, mi dice la donna, ma non è impossibile: 5-6 ore di cammino. Faccio due conti, dovrei arrivare verso le 15-16. Parto. Si scende un po’ e poi si sale fino ad una forcella. Quindi si inizia a camminare sulle creste o sul ciglio dei monti. Ci sono dei passaggi in cui stare attenti, il sentiero è stretto, ad un certo punto una scaletta scavata nella roccia che è una meraviglia. Si attraversano montagne e montagne (di cui non conosco i nomi) fino a quando il paesaggio inizia a cambiare: le cime rocciose diventano erbose, e si aprono immensi pascoli. Quello più impressionante è la cosiddetta Busa delle Vette.
Alle 15.30 sono al Dal
Piaz. Vedo una giovane donna che entra in rifugio. Scopro che è il gestore, assieme al marito che non c’è. Si chiama Erika.
Mi siedo e prendo una birra piccola. Facciamo due parole. Gli dico che ho fatto l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e lei mi dice che sono il primo a farla
da quando è stata tracciata. Io immagino ci siano stati altri prima di me. Comunque sono contento di essere il primo per lei. Mi prepara la stanza. Vado su, mi faccio la doccia, non ho voglia di riposare, allora leggo la Bibbia. Alle 19 la cena. Gli chiedo che mi porti un buona razione di minestrone. Poi spezzatino, polenta e cappuccio. Mangio davvero di gusto, assieme a un quarto di vino rosso. Mi fermo a parlare con lei un po’. Gli dico che sono un prete e allora mi racconta di aver conosciuto preti più o meno bravi. Quello che c’è adesso è davvero bravo, dice. E’ venuto a benedire anche il rifugio. Vado a letto contento.

L’indomani è il giorno più triste, quello della discesa e del ritorno a casa. Saluto Erika e mi avvio giù per il monte, preferendo la strada piuttosto che il sentiero, per non arrivare troppo presto a valle e gustarmi ancora un po’ le cime e i pascoli. Giunto al passo Croce d’Aune prendo la sinistra come indicato dai segnali. Dopo un pezzo di strada non vedo più il segnale bianco-rosso e temo di non aver visto una deviazione. Finalmente ritrovo il segnale. Alle 12 sono davanti alla birreria Pedavena. Aspetto Barbara che viene a condividere il pranzo con me per poi accompagnarmi a Forno a prendere la macchina.

Ultima serie delle gentilezze di tante persone che mi hanno aiutato e di quel buon Dio che dall’alto delle Dolomiti provvede!

108 Km di sentieri da percorrere in quota divisi in 7 tappe compiute in 44 ore, per un totale di 6100 metri di dislivello positivo e 6370 negativo che attraversano integralmente il primo parco istituito in Italia (1988 – patrimonio UNESCO dal 2009), il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, 32.000 ettari di superficie, oltre 1400 specie di fiori e piante in alcuni dei luoghi meno antropizzati e più selvaggi delle Dolomiti: questi i numeri dell’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi.

Il percorso parte da Forno di Zoldo (848 m), punto più a nord del Parco e attraversa il gruppi del Prampèr, del Mezzodì, della Schiara, del Cimónega; aggira i selvaggi e quasi impenetrabili Monti del Sole, sale sui Piani Eterni, permette di ammirare le imponenti pareti del Sass de Mura e poi, con una lunga traversata lungo le Vette Feltrine conduce a Feltre (325 m), porta meridionale del Parco.

Dislivelli importanti, pochi punti di appoggio, rifugi rimasti tali nel tempo, sentieri esposti dove è necessario passo fermo, esperienza e una certa confidenza con la montagna.

Partiamo sabato 24 agosto da Forno di Zoldo (848 m), risaliamo la Val Prampèr nel primo pomeriggio, su rotabile prima e poi su sentiero CAI 523, arrivando prima alla verdeggiante Malga Prampèr (1540 m) per poi salire gli ultimi 300 mt di dislivello fino a giungere all’accogliente rifugio Sommariva al Pramperèt (1857 m), dove ci attendono una calda cena e un suggestivo tramonto.

Il primo vero giorno di Alta Via ci porta alla quota più alta del percorso, i 2451 m della forcella sud dei meravigliosi Van de Zità, dove il panorama si staglia grandioso verso le vette nord del Cadore; scendendo verso il rifugio Pian de Fontana (1632 m), molti sono i camosci e le marmotte, non poi così timide a lasciarsi fotografare e quasi avvicinare. Sul sentiero di discesa, in parte attrezzato, bella vista sul gruppo della Schiara, mentre un lungo sentiero ci porta in maniera piacevole a immergerci nella Val Vescovà, dove raggiungiamo il rifugio Bianchet (1250 m), che ci accoglie con sedie a sdraio a poter godere l’ultimo tepore del sole con lo sguardo rivolto all’inconfondibile gusela del Vescovà.

 

Il terzo giorno è una lunga camminata di 27 km che ci porta dapprima a risalire, quindi ad attraversare (ponte della Muda), e infine a ridiscendere il torrente Cordevole, lungo l’ombrosa e antica Via degli Ospizi, che si apre in prossimità delle belle architetture della romita certosa di Vedana; quindi ci portiamo su strada provinciale a raggiungere il lago del Mis, dove a Pian Falcina (440 m) si aprono per noi le porte di una confortevole casetta in legno con cucina in autogestione (e doccia abbondante), ma prima di cena c’è ancora tempo e fiato per una visita agli spettacolari cadini del Brenton e alla roboante cascata della Soffia. La sera giunge mentre osserviamo in controluce il m. Pizzocco e la serenità dello specchio d’acqua del Mis.

 

Siamo al quarto giorno, cuore della settimana in Alta Via, e la giornata si divide in due parti: la prima su strada provinciale che risale il Cordevole fino all’altezza di Titele per poi attraversare il corso d’acqua in direzione dell’abitato di Pattine e, poco oltre, una visita è d’obbligo a ciò che resta della “California bellunese”, incorniciata dalla purezza della mole del Cimònega; la seconda parte invece è un’autentica, lunga salita nel fitto bosco attraversato dal sentiero 802 fino a forcella Pelse (1847 m), dove finalmente l’orizzonte si apre sugli splendidi Piani Eterni, sulla cui conca si erge a 1790 m la rustica malga Erera, che ci ospita in locali che sanno di sapori autentici di formaggi freschi e stagionati, che gusteremo a cena e a colazione, in un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e l’alpeggio di Heidi e Peter ci suggerisce una trasposizione letteraria dal cartone animato d’infanzia a una rara realtà del XXI secolo.

 

Giovedì si apre con previsioni meteo poco incoraggianti, ma la voglia di lasciarci incantare dal percorso non ci abbandona, e alla fine siamo premiati dal sole: il percorso mozzafiato sospeso su strette cenge erbose che entra nel cuore più selvaggio delle Vette Feltrine è tutto per noi, e lo possiamo già gustare da forcella dell’Omo (1946 m), dove l’adrenalina sale a scorgere da lontano l’impervio e sovente esposto sentiero 851, solo in parte attrezzato. Ma le emozioni non sono ancora finite: ci aspetta il pianoro di Casera Cimonega (1637 m) con il suo incantevole panorama sull’omonimo gruppo montuoso, e da qui su sentiero 801 percorriamo il Troi dei Caserin verso il mitico Sass de Mura, dove, superato il passo (1867 m), scendiamo velocemente a raggiungere il bel rifugio Boz (1718 m).

 

Dopo aver abbondantemente fatto colazione e riempito le borracce dell’acqua fresca disponibile al Boz, ci incamminiamo sull’Alta Via n. 2 per gli ultimi due giorni del nostro percorso: la meta di oggi sono gli ampi valloni glaciali delle Vette Feltrine, un susseguirsi
di “buse”, conche, catini tutelate a riserva integrale e rappresentate dalle morfologie del m. Pavione e che conservano alcune tra le più rare specie botaniche delle Dolomiti. Saliamo subito quindi il sentiero 801 (che ci condurrà fino all’arrivo a Feltre, termine dell’Alta Via n. 2 e della nostra Alta Via delle Dolomiti Bellunesi) portandoci a Passo di Finestra (1766 m) e da qui seguendo le tracce che ci portano su cenge aeree ed esposte verso lo Zoccarè Alto (1929 m), il Sasso Scàrnia (2150 m) e quindi il m. Ramezza (2250 m), da dove contempliamo la Piazza del Diavolo, luogo ricco di fascino e leggende che ci conduce attraverso l’incantevole Busa delle Vette al rifugio Dal Piaz (1993 m), ultima struttura che ci accoglierà per il pernotto. Ci rimane del tempo per una veloce passeggiata ai circhi delle vette glaciali, prima di ritornare per cena e goderci forse il più bel tramonto dell’intera settimana.

 

 

Siamo all’ultimo giorno, venerdì 30 agosto: ci attende una lunga discesa verso Feltre, con scorci panoramici sull’intera vallata feltrina, prima su bosco misto fino a Croce d’Aune, quindi su prati e falsopiani in direzione di Pedavena e quindi di Feltre (m. 325), dove ci concediamo – sempre zaino in spalla – una visita al centro medievale e una sosta all’Ufficio Turistico nella rinascimentale piazza Maggiore, per il ritiro della spilla ufficiale dei finishers dell’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e la foto di rito, riassuntiva di un momento che sa di 7 lunghi giorni tra le Dolomiti più selvagge e meno frequentate.

 

Molti aneddoti potrei scrivere di questa affascinante esperienza, mi limiterò a tratteggiare gli aspetti che maggiormente mi hanno colpito nel percorrere questa alta via, dal senso di ospitalità provato nei rifugi disseminati lungo il cammino, al fatto di condividere tratti di questo trekking, io romano ramingo, con amici incontrati sul campo, da Vicenza a Verona, da Bressanone al lago di Costanza, perché il bello del mettersi in viaggio in solitaria è proprio quello di condividere ciò che si esperisce con chi ti circonda.

Poi ancora un salto indietro nel tempo nell’accogliente atmosfera della malga Erera, le emozioni forti provate nella variante per raggiungere la Schiara tramite la ferrata Berti, ivi inclusa la fugace visione di un capriolo all’aurora.

Da non dimenticare l’immane e lodevole lavoro per ripristinare i sentieri dopo la tempesta Vaia dello scorso autunno (c’è ancora del lavoro da fare lungo la Via degli Ospizi ma non dubito che presto sarà portato a compimento), la deviazione inattesa che mi ha portato a scoprire un’incantevole cascata, un giovane culbianco avvistato tra i prati, una marmotta confidente, i divertenti tratti attrezzati tra il Rifugio Boz e il Rifugio Dal Piaz e la ricompensa finale, una bella birra Dolomiti del Centenario dalla Birreria Pedavena!

Un doveroso ringraziamento, pertanto, è dovuto a chi a ha ideato questo percorso tra questi boschi e queste vette intriganti e spettacolari!

Sette giorni nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi

tratto dal Blog Personale di Alessandro Stenico – SNOW POWER

Da Forni di Zoldo a Feltre, questo è il tragitto della nuova alta via che segue parte di sentieri condivisi con altre “alte vie dolomitiche” quali la numero uno e due ed alcuni sentieri del parco nazionale. L’impegno dei volontari delle associazioni alpinistiche di liberare tutti i sentieri dagli alberi caduti per la tempesta Vaia è stato encomiabile. Ci sono alcuni tratti nei quali è più difficile orientarsi come lungo la via degli Ospizi nei Monti del Sole, li  è facile confondersi con i segnavia dell’Enel che ha contrassegnato con bolli rossi i percorsi per raggiungere i propri tralicci.  La traccia scaricata dal sito ufficiale dell’alta via sulla cartina digitale Tabacco, ci ha aiutato molto. Bisogna fare molta attenzione anche al terreno bagnato, qui forse per la vicinanza alla pianura padana, l’umidità nell’aria è sempre presente, si suda quasi sempre non solo per la fatica. Un altro fattore che non è da sottovalutare è l’erba alta che non viene falciata o calpestata abbondantemente per i pochi passaggi, sia per il pericolo di scivolamento che per le zecche.

 

Purtroppo, durante la seconda tappa una nostra compagna di avventura è scivolata e caduta per alcuni metri riportando un trauma cranico e ferite al volto. Abbiamo chiamato il soccorso  alpino ed in breve tempo è stata recuperata e trasportata con l’elicottero di Selva di Cadore  all’ospedale di Belluno. Dopo attenti esami è stata dimessa già in serata. Bravi sia i soccorritori che i medici all’ospedale.

Il suo  compagno l’ha raggiunta scendeno in valle e noi tre abbiamo potuto proseguire, prestando più attenzione al terreno.

Le condizioni atmosferiche ci sono state favorevoli, faceva caldo e per fortuna non ci  sono state precipitazioni.

In quasi tutti i rifugi c’era acqua a sufficenza anche per la doccia, i posti tappa sono ben gestiti, sia quelli nei rifugi che quelli in altre strutture come a Pian Falcina presso il pittoresco lago del Mis o nel magnifico altipiano dei Piani Eterni nella Malga Erera Brendol.

Le brande e i materassi presso la malga sono un po’ spartani, il locale sottotetto ha il  vantaggio di essere ben arieggiato rispetto alle stanze dei rifugi, nelle quali mi mancava spesso l’aria fresca.

 

Alla malga c’è anche un caseificio e la cena è stata squisita, pasta alla ricotta affumicata e poi polenta con formaggio tosella e latte. Di mattina poco lontano dalla malga pascolava un gruppo di cerve, alcuni anni fa erano molte di più, ora con la ricomparsa del lupo si stanno decimando. Accanto alla malga ci sono altre piccole strutture affidate ad un gruppo di spereologi, il terreno è carsico e ci  sono un’infinità di grotte da scoprire.

Alcune malghe ancora in buono stato lungo il cammino sono in disuso, non sono più gestite perché da quando l’area è sotto tutela, l’alpeggio con le vacche è limitato solamente ad alcuni luoghi più in valle

La quarta tappa che parte dal campeggio di Pian Falcina, ha una prima parte nella quale bisogna fare attenzione al traffico automobilistico, specialmente nelle gallerie non illuminate . Caratteristico è il villaggio di Pattine e California con molte case diroccate. Fino a un tempo relativamente recente, la valle del Mis era punteggiata da numerosi insediamenti rurali abitati stabilmente, distribuiti nel fondovalle o lungo i pendii più assolati. La costruzione della diga con la conseguente formazione del lago artificiale (1957-1962) ha finito per sommergere gli abitati più “bassi” e gli spazi coltivabili, nonché la vecchia strada che si snodava lungo il fondovalle. Ad accelerare l’abbandono della valle ha contribuito l’alluvione del 1966 sicché dal 1972 risulta quasi completamente disabitata.
Il paese di California, sorto nel XIX secolo, comprendeva varie borgate sorte con lo sfruttamento delle miniere di mercurio di Vallalta che all’epoca erano le seste al mondo in termini di produzione. Nel 1962 le miniere di Vallalta furono chiuse, ma l’economia fu sostenuta dal turismo. La fine del paese fu decretata dall’alluvione del 1966 (fonte Wikipedia).

 

Mi è piaciuta molto anche la sesta tappa dal rifugio Boz al rifugio Dal Piàz con brevi tratti aerei, con la suggestiva “Piaza de Diaol” e la riserva integrale con prati immensi tutti in fiore.

L’ultimo rifugio è molto frequentato dai valligiani, in serata oltre all’ottima focaccia servita con birra locale, per la quale molti salgono con la frontale dalla valle, si poteva fare anche pratica di yoga al tramonto, o seguire la conferenza del professore di fisica astronomica Sergio Ortolani sulle frontiere dell’astrofisica.

Scesi in valle abbiamo salutato il nostro compagno di avventura Federico che si era associato al nostro gruppo dalla terza tappa e incontrato Marco, uno degli ideatori di questa nuova alta via che ci ha gentilmente accompagnato alla birreria Pedavena per gustare un’ottima birra Dolomiti e poi a Feltre.

Da Feltre abbiamo proseguito in treno fino a Belluno e da lì visto che avevamo perso l’autobus, in taxi fino a Forni di Zoldo. Qui, patria dei gelatai ci siamo gustati un ottimo gelato. Cosa dire di questa nuova altavia, paesaggi stupendi, poco frequentati, da non sottovalutare sia per il  terreno viscido a cui non siamo abituati che per le tappe lunghe, rifugi non troppo grandi ed accoglienti e molti prati in fiore, che dalle nostre parti si vedono meno spesso per il troppo letame cosparso, insomma un’alta via assolutamente consigliabile per chi cerca spazi meno affollati, da affrontare comunque con tutte le precauzioni.

 

Nel 1993 usciva per le Edizioni “Alpi Feltrine” il volume “Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi – Aspetti di un territorio” ed il desiderio di approfondire la conoscenza delle montagne di casa mi ha spinto ad acquistarlo.

Una parte di quel testo, una sorta di appendice, era dedicata alle escursioni, l’ultima delle quali, magistralmente ideata e definita “Transparco delle Dolomiti Bellunesi”, mi ha particolarmente incuriosito. L’idea di attraversare in tutta la sua interezza il Parco era molto allettante.
E così nel mese di giugno del 1995 assieme al mio amico Giorgio, compagno di tante avventure sulle Dolomiti e su altre montagne del mondo, ci siamo incamminati sui sentieri selvaggi e solitari che collegano Forno di Zoldo al Passo di Croce d’Aune, passando per i gruppi del Pramper, Talvena, Schiara, Agnelezze, Cimonega-Sass de Mura, Vette Feltrine.

Sono stati sei giorni di sole e piogge, di nuvole e fiori, di cascate e laghetti su cui bagnarsi.
Ricordo con piacere le persone incontrate a casera Cimonega che ci hanno offerto un pezzo di cioccolato, cogliendo nel nostro sguardo tutta la stanchezza accumulata in quella tappa o la notte passata a Campotorondo con il fuoco acceso per far asciugare la tenda dopo due giorni di pioggia battente. Ma l’incontro finale, inatteso e casuale, dell’ultima sera, al Rifugio Dal Piaz, con due degli autori del libro che ci aveva spinto a percorrere quei cammini impervi, è stata la degna conclusione di un’esperienza unica.

Un viaggio che si è impresso indelebilmente nei nostri ricordi e che suggeriamo a tutti quelli che sono alla ricerca dell’anima pura ed incontaminata delle Dolomiti.

Telemaco Menegaldo