Ho chiesto a un’amica, Barbara, che cammino avrei potuto fare sulle Dolomiti per la durata di 5 giorni. Mi ha subito risposto: l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi. Così sono partito!

In realtà il percorso indica 7 giorni. Ho fatto due conti, mi sono fidato un po’ dell’intuito e un po’ alla provvidenza, e ho pensato che potevo farcela anche in 5.

Domenica 30 giugno 2019 ho raggiunto Forno di Zoldo, ho lasciato lì la macchina e alle 15.30 ho iniziato l’ascesa della valle Balanzola fino al Rif. Praperét. E’ l’unico rifugio che avevo prenotato. Per gli altri avrei chiesto arrivando, così mi sarei sentito libero nel decidere dove pernottare.
I segni delle raffiche di vento di ottobre si vedono già nell’avvicinarsi alla Malga Pramper: faggi e abeti sradicati o spezzati e buttati giù. Nonostante ciò, non ho mai avuto problemi lungo tutto il percorso, ho sempre trovato o gli alberi già tagliati per liberare il sentiero, oppure la traccia nuova del sentiero attorno alle piante abbattute.
Il Rifugio
Pramperét era pieno di stranieri. A cena mi sono seduto accanto a due inglesi, e per fortuna uno dei due parlava un po’ di francese, così abbiamo conversato tutta la serata.
Finita la cena, ho chiesto alcune informazioni a un giovane del Rifugio che mi ha dato alcune dritte molto preziose circa l’itinerario e la tappa del giorno seguente. Faccio due passi serali per i pascoli. Alle 21 eravamo già tutti a letto.

Ore 7.00 colazione e partenza.
Mi aspettava una delle più belle tappe.
Si sale per un sentiero che attraversa una prima forcella, poi dei nevai, fino ad arrivare in cresta. Quindi si arriva alla forcella de
Zità. Salendo oltre i 2400 si vedono spuntare il Pelmo e poi il Civetta. Quindi si inizia a scendere per una valle.
In una zona all’ombra, a un metro da una fontanella costruita con un tronco scavato, una vipera
aspis era venuta a bere anche lei.

Arrivo al Rif. Pian de Fontana alle 10.30.
Poiché ero senza cartina (ero partito veramente in fretta!), una donna che gestisce il rifugio molto generosamente mi regala la sua cartina
consumata e a pezzi, tanto l’aveva usata, che comprende tutto il percorso che avrei dovuto fare. Un dono utilissimo! Ecco che la provvidenza già mi aiuta… Bevo una Lemon fresca e riprendo il cammino verso il Bianchet.

Bisogna scendere verso valle e poi risalire fino alla forcella La Varéta. Quindi si costeggia il monte in mezzo alle ginestre in fiore che emanano un profumo veramente soave. Ad un certo punto appare la Schiara, la montagna più alta e imponente delle Dolomiti bellunesi. Si scende quindi alle sue pendici sulla valle fino a raggiungere il Rif. Bianchet, circondato da un prato tagliato all’inglese, proprio sotto la maestosità della Schiara. Arrivo che sono soltanto le 13.30.
Faccio conoscenza con una coppia canadese e un inglese più anziano che parlano
anche il francese. Sia la coppia che l’uomo solitario, sono in cammino da 10 giorni. Quella, per loro, è l’ultima tappa. La coppia è partita dal Lago di Braies.

Prima di cena mi dedico un po’ di tempo allo spirito: passo due ore in mezzo al bosco, solo con la Bibbia. Inizio la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Luca. La serata sono a tavola con gli amici conosciuti nel pomeriggio più due giovani finlandesi. Capisco gran poco perché parlano quasi sempre in inglese. Il tema comunque sono i viaggi! Dormo nel camerone con l’inglese. Per fortuna non russa come gli altri la sera precedente.

Ore 7.00 colazione e partenza. Mi aspetta la tappa di avvicinamento, così la chiamo io. Perché si tratta di scendere dal primo gruppo di montagne e raggiungere il secondo gruppo, le Vette Feltrine, percorrendo la lunga valle del torrente Cordevole e poi la valle del Mis.
La discesa dal
Bianchet è abbastanza lunga. Non taglio per l’ultimo tratto di sentiero che mi porterebbe alla fermata dell’autobus, ma percorro la strada fino in fondo, in modo da essere più vicino alla località Agre. Infatti, giunto alla strada provinciale, devo fare quasi un chilometro sul ciglio della strada (da stare attenti!) fino a raggiungere il ponte che permette di attraversare il fiume e di portarsi dall’altra parte della valle. Quella è la località Agre, dove sorge un vecchio Ospizio ristrutturato.
Il sentiero che da lì parte (proprio sulla destra dietro la fattoria) prende proprio in nome dell’Ospizio: sentiero degli Ospizi.
Mi aspettavo un tratto di strada tranquilla che costeggiasse il fiume. E inv
ece mi ritrovo a salire per bene, fino a raggiungere i tralicci della corrente elettrica. Ad un certo punto due cervi maschi, e due femmine mi attraversano davanti il sentiero. Il percorso è un sali scendi, abbastanza duro per il caldo (siamo a bassa quota), fino a ridiscendere sul livello del fiume e costeggiarlo per qualche centinaio di metri. Si arriva a un cancello che dà l’ingresso ad un grandissimo pascolo, il Salèt: ci sono cavalli e caprioli che brucano l’erba insieme. Faccio una foto, quando mi si accosta una donna che mi saluta. E’ una delle pochissime persone che incontro lungo il cammino, eccetto quelle in Rifugio. In tutto cinque-sei in 5 giorni. Attraversiamo insieme la riserva, mi dice che sta facendo una ricerca dottorale per l’università di Venezia. Arriviamo alla sua macchina e sapendo che devo andare al Mis mi dà un passaggio. Così mi risparmia un bel pezzo di strada asfaltata fino al campeggio. Ci salutiamo, la ringrazio e mi lascia alcune prugne avanzate dalla sua escursione. Il giorno dopo saranno preziosissime!

Al camping del Mis sono accolto dai due gestori, Geky e Gabry. Mi danno un piccolo appartamento, veramente splendido. Doccia e pisolino. Poi la Bibbia. La sera mangio un toast al chiosco del camping, quindi chiedo informazioni circa la salita del giorno seguente. Vorrei arrivare al Boz, ma mi dicono che è troppo lunga. Secondo i miei calcoli dovrei farcela. Geky allora mi propone di accompagnarmi la mattina seguente fino al termine della valle del Mis con la sua macchina, così da accorciare un po’ la tappa. Accetto molto volentieri. Mi faccio fare due panini per il giorno dopo e bevo una birretta.

La mattina alle 7.30 Geky è pronto ad accompagnarmi. Ho una zecca da togliere però. Me la toglie, mi offre una tazza di caffè e, vedendo il mio povero bastone, mi offre il suo bello robusto e levigato. Partiamo. Mi lascia sul ponte da cui parte la strada che mi porta a Pattine, una contrada da cui inizia il sentiero. Ci salutiamo. La provvidenza mi accompagna. Mi avvio per la strada, arrivo a Pattine, cerco il sentiero, lo trovo sulla destra di una casa, e comincio a salire. Una salita lunga, tra gli alberi di faggio. Molti sono abbattuti dal vento di ottobre. Il sentiero è percorribile, pulito.
La valle si chiama vallone di
Campotorondo. Appaiono i pini, poi i mughi, i primi prati, poi una piccola malga abbandonata. Finalmente sono in quota e il paesaggio si apre su pascoli e rocce. In breve sono al Biv. Campotorondo. E’ tenuto benissimo, con sala, cucina, camere. C’è acqua. Mangio un po’ di fichi, mandorle e cioccolata che mi ero portato da casa. Quindi riprendo il cammino.
Non ci vuole molto a raggiungere i Piani Eterni di Malga
Erera. Un posto meraviglioso. La malga è chiusa (dovrebbe aprire tra pochi giorni, mi hanno detto). Non posso attardarmi a guardare, devo riprendere il cammino che è ancora molto lungo. Il realtà per me sembrava breve. Guardo la cartina e i segnali che sono affissi vicino alla Malga. Prendo un sentiero che sale verso la montagna che sta sopra la malga. Mi era stato detto che dovevo fare una forcella. Arrivo a metà monte quando incrocio un giovane, italiano, e ci salutiamo. Viene a conoscere la mia intenzione di andare a pernottare al Boz. Sono già le 11.30. Mi chiede se ho una cartina. L’apro e indico a lui il Boz. Mi sembrava vicino, gli dico. Lui mi fa segno: il Boz non è quello, è un altro! Sulla mia cartina avevo scambiato il Rifugio Boz con l’Albergo Alpino Boz che si trova poco sotto il lago della Stua ed è chiuso! Per quello mi pareva così raggiungibile!! Invece il vero rifugio Boz era ben più lontano, dovevo attraversare un bel po’ di montagne! Ora capisco perché mi avevano detto che era arduo il mio progetto… La cosa positiva è che mi trovavo sul sentiero giusto. La cosa negativa è che anche quel giovane mi ripeteva che arrivare al Boz dopo essere saliti da Pattine era molto dura. Il giovane mi aveva schiarito bene le idee! Lo ringrazio come fosse stato un angelo mandato dal cielo.

Prima di lasciarci mi consiglia di fermarmi al biv. Feltre, che è più vicino, ed è in una posizione spettacolare. Faccio tesoro del suo suggerimento. Il mio dubbio consisteva nel cibo, perché ne avevo poco. Non avevo ancora intaccato i due panini, e iniziando a pensare al bivacco, ho capito che dovevo razionalizzare il cibo che avevo. Così sono ripartito più lucido e sereno, con un po’ di tremore comunque per quello che mi aspettava. Il tempo intanto si faceva nuvoloso. Il giovane mi aveva detto che avevano previsto temporali. Così camminavo più speditamente.
Il paesaggio è meraviglioso, finché si raggiunge la valle sulla quale domina il Piz di Sagron. A metà montagna, su un pianoro, si vede il Bivacco. Si vedono i primi lampi. Non ho dubbi: dormirò al bivacco. Salgo per una torrente la cui acqua è limpida, trasparente. Ci sono molte cascate, che risuonano nella valle. Raggiungo il pianoro ed ecco il bivacco. Una casetta è chiusa, l’altra aperta. Il posto è magnifico, il più bello che abbia visto in questo giorni. Mi sistemo, mi prendo l’asciugamano, il ricambio e scendo a farmi il bagno in una delle vasche che il torrente ha scavato. Mi butto dentro, mi insapono, mi ributto. Faccio appena in tempo ad uscire che iniziano le prime gocce. Prendo allora tutte le mie cose, e risalgo il sentiero, nudo, coperto dal poncho. Il temporale arriva poco dopo. Non riesco a chiudere la porta esterna in lamiera, quindi la lego con un filo di ferro e tengo forte quella interna. Le raffiche di vento sono forti. Viene giù grandine e pioggia. Intanto inizio a mangiare il panino al formaggio. Fatico a mandarlo giù. Passa il temporale, mi tranquillizzo. Riprese un po’ le forze apro la Bibbia, sempre al cap. 10 di san Luca. Alle 19 mi viene fame. Allora mangio con gusto il secondo panino allo speck. Esco a gustarmi il paesaggio, le montagne di nuovo illuminate dal sole, l‘acqua che scende dalle rocce, l’erba verde, il cielo azzurro. Verso le 21 vado a letto.

Alle 6.20 mi alzo, mangio ficchi secchi e mandorle e mi avvio verso il Rif. Boz. Ci metto due ore e mezza ad arrivare. Alle 9.30 sono là. Posto meraviglioso, accoglienza deliziosa. Chiedo subito una colazione abbondante. Degli uomini stanno issando l’alza bandiera, mentre un giovane sta installando la spina della birra. Ci troviamo tutti attorno al tavolo. Mi offrono un po’ di salame. Mi faccio un panino per il pranzo.
Rinfrancato, chiedo alla signora che gestisce il rifugio informazioni circa il percorso. Devo arrivare al
Dal Piaz. E’ lunga e occorre stare attenti, mi dice la donna, ma non è impossibile: 5-6 ore di cammino. Faccio due conti, dovrei arrivare verso le 15-16. Parto. Si scende un po’ e poi si sale fino ad una forcella. Quindi si inizia a camminare sulle creste o sul ciglio dei monti. Ci sono dei passaggi in cui stare attenti, il sentiero è stretto, ad un certo punto una scaletta scavata nella roccia che è una meraviglia. Si attraversano montagne e montagne (di cui non conosco i nomi) fino a quando il paesaggio inizia a cambiare: le cime rocciose diventano erbose, e si aprono immensi pascoli. Quello più impressionante è la cosiddetta Busa delle Vette.
Alle 15.30 sono al Dal
Piaz. Vedo una giovane donna che entra in rifugio. Scopro che è il gestore, assieme al marito che non c’è. Si chiama Erika.
Mi siedo e prendo una birra piccola. Facciamo due parole. Gli dico che ho fatto l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e lei mi dice che sono il primo a farla
da quando è stata tracciata. Io immagino ci siano stati altri prima di me. Comunque sono contento di essere il primo per lei. Mi prepara la stanza. Vado su, mi faccio la doccia, non ho voglia di riposare, allora leggo la Bibbia. Alle 19 la cena. Gli chiedo che mi porti un buona razione di minestrone. Poi spezzatino, polenta e cappuccio. Mangio davvero di gusto, assieme a un quarto di vino rosso. Mi fermo a parlare con lei un po’. Gli dico che sono un prete e allora mi racconta di aver conosciuto preti più o meno bravi. Quello che c’è adesso è davvero bravo, dice. E’ venuto a benedire anche il rifugio. Vado a letto contento.

L’indomani è il giorno più triste, quello della discesa e del ritorno a casa. Saluto Erika e mi avvio giù per il monte, preferendo la strada piuttosto che il sentiero, per non arrivare troppo presto a valle e gustarmi ancora un po’ le cime e i pascoli. Giunto al passo Croce d’Aune prendo la sinistra come indicato dai segnali. Dopo un pezzo di strada non vedo più il segnale bianco-rosso e temo di non aver visto una deviazione. Finalmente ritrovo il segnale. Alle 12 sono davanti alla birreria Pedavena. Aspetto Barbara che viene a condividere il pranzo con me per poi accompagnarmi a Forno a prendere la macchina.

Ultima serie delle gentilezze di tante persone che mi hanno aiutato e di quel buon Dio che dall’alto delle Dolomiti provvede!

108 Km di sentieri da percorrere in quota divisi in 7 tappe compiute in 44 ore, per un totale di 6100 metri di dislivello positivo e 6370 negativo che attraversano integralmente il primo parco istituito in Italia (1988 – patrimonio UNESCO dal 2009), il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, 32.000 ettari di superficie, oltre 1400 specie di fiori e piante in alcuni dei luoghi meno antropizzati e più selvaggi delle Dolomiti: questi i numeri dell’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi.

Il percorso parte da Forno di Zoldo (848 m), punto più a nord del Parco e attraversa il gruppi del Prampèr, del Mezzodì, della Schiara, del Cimónega; aggira i selvaggi e quasi impenetrabili Monti del Sole, sale sui Piani Eterni, permette di ammirare le imponenti pareti del Sass de Mura e poi, con una lunga traversata lungo le Vette Feltrine conduce a Feltre (325 m), porta meridionale del Parco.

Dislivelli importanti, pochi punti di appoggio, rifugi rimasti tali nel tempo, sentieri esposti dove è necessario passo fermo, esperienza e una certa confidenza con la montagna.

Partiamo sabato 24 agosto da Forno di Zoldo (848 m), risaliamo la Val Prampèr nel primo pomeriggio, su rotabile prima e poi su sentiero CAI 523, arrivando prima alla verdeggiante Malga Prampèr (1540 m) per poi salire gli ultimi 300 mt di dislivello fino a giungere all’accogliente rifugio Sommariva al Pramperèt (1857 m), dove ci attendono una calda cena e un suggestivo tramonto.

Il primo vero giorno di Alta Via ci porta alla quota più alta del percorso, i 2451 m della forcella sud dei meravigliosi Van de Zità, dove il panorama si staglia grandioso verso le vette nord del Cadore; scendendo verso il rifugio Pian de Fontana (1632 m), molti sono i camosci e le marmotte, non poi così timide a lasciarsi fotografare e quasi avvicinare. Sul sentiero di discesa, in parte attrezzato, bella vista sul gruppo della Schiara, mentre un lungo sentiero ci porta in maniera piacevole a immergerci nella Val Vescovà, dove raggiungiamo il rifugio Bianchet (1250 m), che ci accoglie con sedie a sdraio a poter godere l’ultimo tepore del sole con lo sguardo rivolto all’inconfondibile gusela del Vescovà.

 

Il terzo giorno è una lunga camminata di 27 km che ci porta dapprima a risalire, quindi ad attraversare (ponte della Muda), e infine a ridiscendere il torrente Cordevole, lungo l’ombrosa e antica Via degli Ospizi, che si apre in prossimità delle belle architetture della romita certosa di Vedana; quindi ci portiamo su strada provinciale a raggiungere il lago del Mis, dove a Pian Falcina (440 m) si aprono per noi le porte di una confortevole casetta in legno con cucina in autogestione (e doccia abbondante), ma prima di cena c’è ancora tempo e fiato per una visita agli spettacolari cadini del Brenton e alla roboante cascata della Soffia. La sera giunge mentre osserviamo in controluce il m. Pizzocco e la serenità dello specchio d’acqua del Mis.

 

Siamo al quarto giorno, cuore della settimana in Alta Via, e la giornata si divide in due parti: la prima su strada provinciale che risale il Cordevole fino all’altezza di Titele per poi attraversare il corso d’acqua in direzione dell’abitato di Pattine e, poco oltre, una visita è d’obbligo a ciò che resta della “California bellunese”, incorniciata dalla purezza della mole del Cimònega; la seconda parte invece è un’autentica, lunga salita nel fitto bosco attraversato dal sentiero 802 fino a forcella Pelse (1847 m), dove finalmente l’orizzonte si apre sugli splendidi Piani Eterni, sulla cui conca si erge a 1790 m la rustica malga Erera, che ci ospita in locali che sanno di sapori autentici di formaggi freschi e stagionati, che gusteremo a cena e a colazione, in un luogo dove il tempo sembra essersi fermato e l’alpeggio di Heidi e Peter ci suggerisce una trasposizione letteraria dal cartone animato d’infanzia a una rara realtà del XXI secolo.

 

Giovedì si apre con previsioni meteo poco incoraggianti, ma la voglia di lasciarci incantare dal percorso non ci abbandona, e alla fine siamo premiati dal sole: il percorso mozzafiato sospeso su strette cenge erbose che entra nel cuore più selvaggio delle Vette Feltrine è tutto per noi, e lo possiamo già gustare da forcella dell’Omo (1946 m), dove l’adrenalina sale a scorgere da lontano l’impervio e sovente esposto sentiero 851, solo in parte attrezzato. Ma le emozioni non sono ancora finite: ci aspetta il pianoro di Casera Cimonega (1637 m) con il suo incantevole panorama sull’omonimo gruppo montuoso, e da qui su sentiero 801 percorriamo il Troi dei Caserin verso il mitico Sass de Mura, dove, superato il passo (1867 m), scendiamo velocemente a raggiungere il bel rifugio Boz (1718 m).

 

Dopo aver abbondantemente fatto colazione e riempito le borracce dell’acqua fresca disponibile al Boz, ci incamminiamo sull’Alta Via n. 2 per gli ultimi due giorni del nostro percorso: la meta di oggi sono gli ampi valloni glaciali delle Vette Feltrine, un susseguirsi
di “buse”, conche, catini tutelate a riserva integrale e rappresentate dalle morfologie del m. Pavione e che conservano alcune tra le più rare specie botaniche delle Dolomiti. Saliamo subito quindi il sentiero 801 (che ci condurrà fino all’arrivo a Feltre, termine dell’Alta Via n. 2 e della nostra Alta Via delle Dolomiti Bellunesi) portandoci a Passo di Finestra (1766 m) e da qui seguendo le tracce che ci portano su cenge aeree ed esposte verso lo Zoccarè Alto (1929 m), il Sasso Scàrnia (2150 m) e quindi il m. Ramezza (2250 m), da dove contempliamo la Piazza del Diavolo, luogo ricco di fascino e leggende che ci conduce attraverso l’incantevole Busa delle Vette al rifugio Dal Piaz (1993 m), ultima struttura che ci accoglierà per il pernotto. Ci rimane del tempo per una veloce passeggiata ai circhi delle vette glaciali, prima di ritornare per cena e goderci forse il più bel tramonto dell’intera settimana.

 

 

Siamo all’ultimo giorno, venerdì 30 agosto: ci attende una lunga discesa verso Feltre, con scorci panoramici sull’intera vallata feltrina, prima su bosco misto fino a Croce d’Aune, quindi su prati e falsopiani in direzione di Pedavena e quindi di Feltre (m. 325), dove ci concediamo – sempre zaino in spalla – una visita al centro medievale e una sosta all’Ufficio Turistico nella rinascimentale piazza Maggiore, per il ritiro della spilla ufficiale dei finishers dell’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e la foto di rito, riassuntiva di un momento che sa di 7 lunghi giorni tra le Dolomiti più selvagge e meno frequentate.

 

Percorso spettacolare, panorami meravigliosi e luoghi poco frequentati. Bella la zona e belle le persone incontrate.

Molti aneddoti potrei scrivere di questa affascinante esperienza, mi limiterò a tratteggiare gli aspetti che maggiormente mi hanno colpito nel percorrere questa alta via, dal senso di ospitalità provato nei rifugi disseminati lungo il cammino, al fatto di condividere tratti di questo trekking, io romano ramingo, con amici incontrati sul campo, da Vicenza a Verona, da Bressanone al lago di Costanza, perché il bello del mettersi in viaggio in solitaria è proprio quello di condividere ciò che si esperisce con chi ti circonda.

Poi ancora un salto indietro nel tempo nell’accogliente atmosfera della malga Erera, le emozioni forti provate nella variante per raggiungere la Schiara tramite la ferrata Berti, ivi inclusa la fugace visione di un capriolo all’aurora.

Da non dimenticare l’immane e lodevole lavoro per ripristinare i sentieri dopo la tempesta Vaia dello scorso autunno (c’è ancora del lavoro da fare lungo la Via degli Ospizi ma non dubito che presto sarà portato a compimento), la deviazione inattesa che mi ha portato a scoprire un’incantevole cascata, un giovane culbianco avvistato tra i prati, una marmotta confidente, i divertenti tratti attrezzati tra il Rifugio Boz e il Rifugio Dal Piaz e la ricompensa finale, una bella birra Dolomiti del Centenario dalla Birreria Pedavena!

Un doveroso ringraziamento, pertanto, è dovuto a chi a ha ideato questo percorso tra questi boschi e queste vette intriganti e spettacolari!

Sette giorni nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi

tratto dal Blog Personale di Alessandro Stenico – SNOW POWER

Da Forni di Zoldo a Feltre, questo è il tragitto della nuova alta via che segue parte di sentieri condivisi con altre “alte vie dolomitiche” quali la numero uno e due ed alcuni sentieri del parco nazionale. L’impegno dei volontari delle associazioni alpinistiche di liberare tutti i sentieri dagli alberi caduti per la tempesta Vaia è stato encomiabile. Ci sono alcuni tratti nei quali è più difficile orientarsi come lungo la via degli Ospizi nei Monti del Sole, li  è facile confondersi con i segnavia dell’Enel che ha contrassegnato con bolli rossi i percorsi per raggiungere i propri tralicci.  La traccia scaricata dal sito ufficiale dell’alta via sulla cartina digitale Tabacco, ci ha aiutato molto. Bisogna fare molta attenzione anche al terreno bagnato, qui forse per la vicinanza alla pianura padana, l’umidità nell’aria è sempre presente, si suda quasi sempre non solo per la fatica. Un altro fattore che non è da sottovalutare è l’erba alta che non viene falciata o calpestata abbondantemente per i pochi passaggi, sia per il pericolo di scivolamento che per le zecche.

 

Purtroppo, durante la seconda tappa una nostra compagna di avventura è scivolata e caduta per alcuni metri riportando un trauma cranico e ferite al volto. Abbiamo chiamato il soccorso  alpino ed in breve tempo è stata recuperata e trasportata con l’elicottero di Selva di Cadore  all’ospedale di Belluno. Dopo attenti esami è stata dimessa già in serata. Bravi sia i soccorritori che i medici all’ospedale.

Il suo  compagno l’ha raggiunta scendeno in valle e noi tre abbiamo potuto proseguire, prestando più attenzione al terreno.

Le condizioni atmosferiche ci sono state favorevoli, faceva caldo e per fortuna non ci  sono state precipitazioni.

In quasi tutti i rifugi c’era acqua a sufficenza anche per la doccia, i posti tappa sono ben gestiti, sia quelli nei rifugi che quelli in altre strutture come a Pian Falcina presso il pittoresco lago del Mis o nel magnifico altipiano dei Piani Eterni nella Malga Erera Brendol.

Le brande e i materassi presso la malga sono un po’ spartani, il locale sottotetto ha il  vantaggio di essere ben arieggiato rispetto alle stanze dei rifugi, nelle quali mi mancava spesso l’aria fresca.

 

Alla malga c’è anche un caseificio e la cena è stata squisita, pasta alla ricotta affumicata e poi polenta con formaggio tosella e latte. Di mattina poco lontano dalla malga pascolava un gruppo di cerve, alcuni anni fa erano molte di più, ora con la ricomparsa del lupo si stanno decimando. Accanto alla malga ci sono altre piccole strutture affidate ad un gruppo di spereologi, il terreno è carsico e ci  sono un’infinità di grotte da scoprire.

Alcune malghe ancora in buono stato lungo il cammino sono in disuso, non sono più gestite perché da quando l’area è sotto tutela, l’alpeggio con le vacche è limitato solamente ad alcuni luoghi più in valle

La quarta tappa che parte dal campeggio di Pian Falcina, ha una prima parte nella quale bisogna fare attenzione al traffico automobilistico, specialmente nelle gallerie non illuminate . Caratteristico è il villaggio di Pattine e California con molte case diroccate. Fino a un tempo relativamente recente, la valle del Mis era punteggiata da numerosi insediamenti rurali abitati stabilmente, distribuiti nel fondovalle o lungo i pendii più assolati. La costruzione della diga con la conseguente formazione del lago artificiale (1957-1962) ha finito per sommergere gli abitati più “bassi” e gli spazi coltivabili, nonché la vecchia strada che si snodava lungo il fondovalle. Ad accelerare l’abbandono della valle ha contribuito l’alluvione del 1966 sicché dal 1972 risulta quasi completamente disabitata.
Il paese di California, sorto nel XIX secolo, comprendeva varie borgate sorte con lo sfruttamento delle miniere di mercurio di Vallalta che all’epoca erano le seste al mondo in termini di produzione. Nel 1962 le miniere di Vallalta furono chiuse, ma l’economia fu sostenuta dal turismo. La fine del paese fu decretata dall’alluvione del 1966 (fonte Wikipedia).

 

Mi è piaciuta molto anche la sesta tappa dal rifugio Boz al rifugio Dal Piàz con brevi tratti aerei, con la suggestiva “Piaza de Diaol” e la riserva integrale con prati immensi tutti in fiore.

L’ultimo rifugio è molto frequentato dai valligiani, in serata oltre all’ottima focaccia servita con birra locale, per la quale molti salgono con la frontale dalla valle, si poteva fare anche pratica di yoga al tramonto, o seguire la conferenza del professore di fisica astronomica Sergio Ortolani sulle frontiere dell’astrofisica.

Scesi in valle abbiamo salutato il nostro compagno di avventura Federico che si era associato al nostro gruppo dalla terza tappa e incontrato Marco, uno degli ideatori di questa nuova alta via che ci ha gentilmente accompagnato alla birreria Pedavena per gustare un’ottima birra Dolomiti e poi a Feltre.

Da Feltre abbiamo proseguito in treno fino a Belluno e da lì visto che avevamo perso l’autobus, in taxi fino a Forni di Zoldo. Qui, patria dei gelatai ci siamo gustati un ottimo gelato. Cosa dire di questa nuova altavia, paesaggi stupendi, poco frequentati, da non sottovalutare sia per il  terreno viscido a cui non siamo abituati che per le tappe lunghe, rifugi non troppo grandi ed accoglienti e molti prati in fiore, che dalle nostre parti si vedono meno spesso per il troppo letame cosparso, insomma un’alta via assolutamente consigliabile per chi cerca spazi meno affollati, da affrontare comunque con tutte le precauzioni.