Ho chiesto a un’amica, Barbara, che cammino avrei potuto fare sulle Dolomiti per la durata di 5 giorni. Mi ha subito risposto: l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi. Così sono partito!
In realtà il percorso indica 7 giorni. Ho fatto due conti, mi sono fidato un po’ dell’intuito e un po’ alla provvidenza, e ho pensato che potevo farcela anche in 5.
Domenica 30 giugno 2019 ho raggiunto Forno di Zoldo, ho lasciato lì la macchina e alle 15.30 ho iniziato l’ascesa della valle Balanzola fino al Rif. Praperét. E’ l’unico rifugio che avevo prenotato. Per gli altri avrei chiesto arrivando, così mi sarei sentito libero nel decidere dove pernottare.
I segni delle raffiche di vento di ottobre si vedono già nell’avvicinarsi alla Malga Pramper: faggi e abeti sradicati o spezzati e buttati giù. Nonostante ciò, non ho mai avuto problemi lungo tutto il percorso, ho sempre trovato o gli alberi già tagliati per liberare il sentiero, oppure la traccia nuova del sentiero attorno alle piante abbattute.
Il Rifugio Pramperét era pieno di stranieri. A cena mi sono seduto accanto a due inglesi, e per fortuna uno dei due parlava un po’ di francese, così abbiamo conversato tutta la serata.
Finita la cena, ho chiesto alcune informazioni a un giovane del Rifugio che mi ha dato alcune dritte molto preziose circa l’itinerario e la tappa del giorno seguente. Faccio due passi serali per i pascoli. Alle 21 eravamo già tutti a letto.
Ore 7.00 colazione e partenza.
Mi aspettava una delle più belle tappe.
Si sale per un sentiero che attraversa una prima forcella, poi dei nevai, fino ad arrivare in cresta. Quindi si arriva alla forcella de Zità. Salendo oltre i 2400 si vedono spuntare il Pelmo e poi il Civetta. Quindi si inizia a scendere per una valle.
In una zona all’ombra, a un metro da una fontanella costruita con un tronco scavato, una vipera aspis era venuta a bere anche lei.
Arrivo al Rif. Pian de Fontana alle 10.30.
Poiché ero senza cartina (ero partito veramente in fretta!), una donna che gestisce il rifugio molto generosamente mi regala la sua cartina consumata e a pezzi, tanto l’aveva usata, che comprende tutto il percorso che avrei dovuto fare. Un dono utilissimo! Ecco che la provvidenza già mi aiuta… Bevo una Lemon fresca e riprendo il cammino verso il Bianchet.
Bisogna scendere verso valle e poi risalire fino alla forcella La Varéta. Quindi si costeggia il monte in mezzo alle ginestre in fiore che emanano un profumo veramente soave. Ad un certo punto appare la Schiara, la montagna più alta e imponente delle Dolomiti bellunesi. Si scende quindi alle sue pendici sulla valle fino a raggiungere il Rif. Bianchet, circondato da un prato tagliato all’inglese, proprio sotto la maestosità della Schiara. Arrivo che sono soltanto le 13.30.
Faccio conoscenza con una coppia canadese e un inglese più anziano che parlano anche il francese. Sia la coppia che l’uomo solitario, sono in cammino da 10 giorni. Quella, per loro, è l’ultima tappa. La coppia è partita dal Lago di Braies.
Prima di cena mi dedico un po’ di tempo allo spirito: passo due ore in mezzo al bosco, solo con la Bibbia. Inizio la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Luca. La serata sono a tavola con gli amici conosciuti nel pomeriggio più due giovani finlandesi. Capisco gran poco perché parlano quasi sempre in inglese. Il tema comunque sono i viaggi! Dormo nel camerone con l’inglese. Per fortuna non russa come gli altri la sera precedente.
Ore 7.00 colazione e partenza. Mi aspetta la tappa di avvicinamento, così la chiamo io. Perché si tratta di scendere dal primo gruppo di montagne e raggiungere il secondo gruppo, le Vette Feltrine, percorrendo la lunga valle del torrente Cordevole e poi la valle del Mis.
La discesa dal Bianchet è abbastanza lunga. Non taglio per l’ultimo tratto di sentiero che mi porterebbe alla fermata dell’autobus, ma percorro la strada fino in fondo, in modo da essere più vicino alla località Agre. Infatti, giunto alla strada provinciale, devo fare quasi un chilometro sul ciglio della strada (da stare attenti!) fino a raggiungere il ponte che permette di attraversare il fiume e di portarsi dall’altra parte della valle. Quella è la località Agre, dove sorge un vecchio Ospizio ristrutturato.
Il sentiero che da lì parte (proprio sulla destra dietro la fattoria) prende proprio in nome dell’Ospizio: sentiero degli Ospizi.
Mi aspettavo un tratto di strada tranquilla che costeggiasse il fiume. E invece mi ritrovo a salire per bene, fino a raggiungere i tralicci della corrente elettrica. Ad un certo punto due cervi maschi, e due femmine mi attraversano davanti il sentiero. Il percorso è un sali scendi, abbastanza duro per il caldo (siamo a bassa quota), fino a ridiscendere sul livello del fiume e costeggiarlo per qualche centinaio di metri. Si arriva a un cancello che dà l’ingresso ad un grandissimo pascolo, il Salèt: ci sono cavalli e caprioli che brucano l’erba insieme. Faccio una foto, quando mi si accosta una donna che mi saluta. E’ una delle pochissime persone che incontro lungo il cammino, eccetto quelle in Rifugio. In tutto cinque-sei in 5 giorni. Attraversiamo insieme la riserva, mi dice che sta facendo una ricerca dottorale per l’università di Venezia. Arriviamo alla sua macchina e sapendo che devo andare al Mis mi dà un passaggio. Così mi risparmia un bel pezzo di strada asfaltata fino al campeggio. Ci salutiamo, la ringrazio e mi lascia alcune prugne avanzate dalla sua escursione. Il giorno dopo saranno preziosissime!
Al camping del Mis sono accolto dai due gestori, Geky e Gabry. Mi danno un piccolo appartamento, veramente splendido. Doccia e pisolino. Poi la Bibbia. La sera mangio un toast al chiosco del camping, quindi chiedo informazioni circa la salita del giorno seguente. Vorrei arrivare al Boz, ma mi dicono che è troppo lunga. Secondo i miei calcoli dovrei farcela. Geky allora mi propone di accompagnarmi la mattina seguente fino al termine della valle del Mis con la sua macchina, così da accorciare un po’ la tappa. Accetto molto volentieri. Mi faccio fare due panini per il giorno dopo e bevo una birretta.
La mattina alle 7.30 Geky è pronto ad accompagnarmi. Ho una zecca da togliere però. Me la toglie, mi offre una tazza di caffè e, vedendo il mio povero bastone, mi offre il suo bello robusto e levigato. Partiamo. Mi lascia sul ponte da cui parte la strada che mi porta a Pattine, una contrada da cui inizia il sentiero. Ci salutiamo. La provvidenza mi accompagna. Mi avvio per la strada, arrivo a Pattine, cerco il sentiero, lo trovo sulla destra di una casa, e comincio a salire. Una salita lunga, tra gli alberi di faggio. Molti sono abbattuti dal vento di ottobre. Il sentiero è percorribile, pulito.
La valle si chiama vallone di Campotorondo. Appaiono i pini, poi i mughi, i primi prati, poi una piccola malga abbandonata. Finalmente sono in quota e il paesaggio si apre su pascoli e rocce. In breve sono al Biv. Campotorondo. E’ tenuto benissimo, con sala, cucina, camere. C’è acqua. Mangio un po’ di fichi, mandorle e cioccolata che mi ero portato da casa. Quindi riprendo il cammino.
Non ci vuole molto a raggiungere i Piani Eterni di Malga Erera. Un posto meraviglioso. La malga è chiusa (dovrebbe aprire tra pochi giorni, mi hanno detto). Non posso attardarmi a guardare, devo riprendere il cammino che è ancora molto lungo. Il realtà per me sembrava breve. Guardo la cartina e i segnali che sono affissi vicino alla Malga. Prendo un sentiero che sale verso la montagna che sta sopra la malga. Mi era stato detto che dovevo fare una forcella. Arrivo a metà monte quando incrocio un giovane, italiano, e ci salutiamo. Viene a conoscere la mia intenzione di andare a pernottare al Boz. Sono già le 11.30. Mi chiede se ho una cartina. L’apro e indico a lui il Boz. Mi sembrava vicino, gli dico. Lui mi fa segno: il Boz non è quello, è un altro! Sulla mia cartina avevo scambiato il Rifugio Boz con l’Albergo Alpino Boz che si trova poco sotto il lago della Stua ed è chiuso! Per quello mi pareva così raggiungibile!! Invece il vero rifugio Boz era ben più lontano, dovevo attraversare un bel po’ di montagne! Ora capisco perché mi avevano detto che era arduo il mio progetto… La cosa positiva è che mi trovavo sul sentiero giusto. La cosa negativa è che anche quel giovane mi ripeteva che arrivare al Boz dopo essere saliti da Pattine era molto dura. Il giovane mi aveva schiarito bene le idee! Lo ringrazio come fosse stato un angelo mandato dal cielo.
Prima di lasciarci mi consiglia di fermarmi al biv. Feltre, che è più vicino, ed è in una posizione spettacolare. Faccio tesoro del suo suggerimento. Il mio dubbio consisteva nel cibo, perché ne avevo poco. Non avevo ancora intaccato i due panini, e iniziando a pensare al bivacco, ho capito che dovevo razionalizzare il cibo che avevo. Così sono ripartito più lucido e sereno, con un po’ di tremore comunque per quello che mi aspettava. Il tempo intanto si faceva nuvoloso. Il giovane mi aveva detto che avevano previsto temporali. Così camminavo più speditamente.
Il paesaggio è meraviglioso, finché si raggiunge la valle sulla quale domina il Piz di Sagron. A metà montagna, su un pianoro, si vede il Bivacco. Si vedono i primi lampi. Non ho dubbi: dormirò al bivacco. Salgo per una torrente la cui acqua è limpida, trasparente. Ci sono molte cascate, che risuonano nella valle. Raggiungo il pianoro ed ecco il bivacco. Una casetta è chiusa, l’altra aperta. Il posto è magnifico, il più bello che abbia visto in questo giorni. Mi sistemo, mi prendo l’asciugamano, il ricambio e scendo a farmi il bagno in una delle vasche che il torrente ha scavato. Mi butto dentro, mi insapono, mi ributto. Faccio appena in tempo ad uscire che iniziano le prime gocce. Prendo allora tutte le mie cose, e risalgo il sentiero, nudo, coperto dal poncho. Il temporale arriva poco dopo. Non riesco a chiudere la porta esterna in lamiera, quindi la lego con un filo di ferro e tengo forte quella interna. Le raffiche di vento sono forti. Viene giù grandine e pioggia. Intanto inizio a mangiare il panino al formaggio. Fatico a mandarlo giù. Passa il temporale, mi tranquillizzo. Riprese un po’ le forze apro la Bibbia, sempre al cap. 10 di san Luca. Alle 19 mi viene fame. Allora mangio con gusto il secondo panino allo speck. Esco a gustarmi il paesaggio, le montagne di nuovo illuminate dal sole, l‘acqua che scende dalle rocce, l’erba verde, il cielo azzurro. Verso le 21 vado a letto.
Alle 6.20 mi alzo, mangio ficchi secchi e mandorle e mi avvio verso il Rif. Boz. Ci metto due ore e mezza ad arrivare. Alle 9.30 sono là. Posto meraviglioso, accoglienza deliziosa. Chiedo subito una colazione abbondante. Degli uomini stanno issando l’alza bandiera, mentre un giovane sta installando la spina della birra. Ci troviamo tutti attorno al tavolo. Mi offrono un po’ di salame. Mi faccio un panino per il pranzo.
Rinfrancato, chiedo alla signora che gestisce il rifugio informazioni circa il percorso. Devo arrivare al Dal Piaz. E’ lunga e occorre stare attenti, mi dice la donna, ma non è impossibile: 5-6 ore di cammino. Faccio due conti, dovrei arrivare verso le 15-16. Parto. Si scende un po’ e poi si sale fino ad una forcella. Quindi si inizia a camminare sulle creste o sul ciglio dei monti. Ci sono dei passaggi in cui stare attenti, il sentiero è stretto, ad un certo punto una scaletta scavata nella roccia che è una meraviglia. Si attraversano montagne e montagne (di cui non conosco i nomi) fino a quando il paesaggio inizia a cambiare: le cime rocciose diventano erbose, e si aprono immensi pascoli. Quello più impressionante è la cosiddetta Busa delle Vette.
Alle 15.30 sono al Dal Piaz. Vedo una giovane donna che entra in rifugio. Scopro che è il gestore, assieme al marito che non c’è. Si chiama Erika.
Mi siedo e prendo una birra piccola. Facciamo due parole. Gli dico che ho fatto l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi e lei mi dice che sono il primo a farla da quando è stata tracciata. Io immagino ci siano stati altri prima di me. Comunque sono contento di essere il primo per lei. Mi prepara la stanza. Vado su, mi faccio la doccia, non ho voglia di riposare, allora leggo la Bibbia. Alle 19 la cena. Gli chiedo che mi porti un buona razione di minestrone. Poi spezzatino, polenta e cappuccio. Mangio davvero di gusto, assieme a un quarto di vino rosso. Mi fermo a parlare con lei un po’. Gli dico che sono un prete e allora mi racconta di aver conosciuto preti più o meno bravi. Quello che c’è adesso è davvero bravo, dice. E’ venuto a benedire anche il rifugio. Vado a letto contento.
L’indomani è il giorno più triste, quello della discesa e del ritorno a casa. Saluto Erika e mi avvio giù per il monte, preferendo la strada piuttosto che il sentiero, per non arrivare troppo presto a valle e gustarmi ancora un po’ le cime e i pascoli. Giunto al passo Croce d’Aune prendo la sinistra come indicato dai segnali. Dopo un pezzo di strada non vedo più il segnale bianco-rosso e temo di non aver visto una deviazione. Finalmente ritrovo il segnale. Alle 12 sono davanti alla birreria Pedavena. Aspetto Barbara che viene a condividere il pranzo con me per poi accompagnarmi a Forno a prendere la macchina.
Ultima serie delle gentilezze di tante persone che mi hanno aiutato e di quel buon Dio che dall’alto delle Dolomiti provvede!