Ho disfatto lo zaino, lavato i vestiti e riposto il sacco lenzuolo: tempo di bilanci e di mettere in parole le mie impressioni su questa settimana.
Dal 7 al 13 luglio ho percorso l’Alta Via interamente a piedi tra Forno di Zoldo e la birreria Pedavena, aggirando i monti del Sole a nord sul percorso tematico “La montagna dimenticata”. Quella di non fare nessun trasferimento in bus è stata una scelta di cui ovviamente qualche volta mi sono pentito mentre macinavo chilometri a bassa quota sotto il sole, ma che adesso mi rende felice.
Di questo percorso mi rimarranno la straordinaria varietà di ambienti attraversati, di paesaggi così diversi e tutti comunque grandiosi ed emozionanti, dai prati immensi intorno a Malga Erera alle pareti imponenti del Sass de Mura.
Questa varietà vale poi anche per le persone che ho incontrato nei rifugi lungo il cammino: come, ad esempio, gli stranieri che al Rifugio Bianchet concludono festanti la loro Alta Via Numero 1; come i pochissimi che quasi come eremiti vengono a cercare pace e tranquillità nel pianoro di Malga Erera; oppure come un escursionista che partito da solo da Prato era salito fino al Rifugio Dal Piaz semplicemente per esplorare e conoscere meglio le vette feltrine.
Ho percorso l’alta via da solo, è stata in parte una scelta, in parte forse ero troppo stanco di aspettare l’occasione giusta per una esperienza che desideravo fare da tanti anni. Pur girando spesso solo, è stata in effetti la prima volta che ho fatto una escursione di così tanti giorni, e così sfidante.
Ma d’altra parte, quando la sera si passa il proprio tempo in un rifugio “vero”, che del rifugio ha saputo conservare quell’ambiente frugale e la convivialità tra camminatori, non si è mai soli davvero.
L’Alta Via Dolomiti Bellunesi è un percorso certamente impegnativo, dal punto di vista fisico nel suo complesso, ma anche tecnicamente in diverse tappe. Ho avuto la fortuna di trovare un meteo favorevole per buona parte del cammino, ma di certo alcuni passaggi sarebbero stati molto più complicati con il maltempo.
Da parte mia ho sentito che in quanto escursionista mi veniva lasciata spesso carta bianca rispetto a varianti, punti di appoggio possibili, deviazioni, ma insieme a questa libertà ovviamente arriva anche la responsabilità di sapersi orientare in ambiente e fare le scelte giuste. E secondo me è quando si possono davvero fare delle scelte che si può assaggiare davvero un po’ di avventura!
Su questa alta via l’avventura la puoi trovare subito e magari anche all’improvviso, ad esempio quando percorrendo le cenge erbose degli Slavinàz, la traccia si perde nell’erba alta oppure incrocia una piccolissima frana qua e là: e allora bisogna un po’ inventarsi sul momento un modo sensato per addomesticare il pendio.
Oppure quando ti rendi conto che un ponte su cui passa il sentiero “La montagna dimenticata” non c’è più, e devi girarci attorno! Ma come, nella Tabacco del 2023 c’era… (e in quel momento, pensi che “dimenticata” lo è davvero)
O ancora, più semplicemente quando in valle Imperina il sentiero che sale dalle miniere è poco battuto, ed è talmente invaso dalla vegetazione da dover aguzzare bene la vista per seguirlo. Una fatica, e un bagno di rugiada assicurato. Però vuoi mettere quando poi tra le piante sbuca fuori quel tabià abbandonato che la natura si sta riprendendo?
E così da escursionista bisogna farsi anche un po’ interpreti della montagna e imparare ad adattarsi, a non limitarsi a seguire soltanto acriticamente una lunga serie di bolli e cartelli ma a guardarsi attorno e capire bene l’ambiente attorno a sé. È più scomodo certo, ma in montagna più che mai spesso la felicità è un po’ scomoda!
Sono grato al gruppo di lavoro dell’alta via per tutti i consigli e l’idea di percorso che aggira i monti del Sole a nord.
Trovo che la partecipazione attiva che si richiede agli escursionisti sia una caratteristica che rende questa alta via diversa da tutti gli altri grandi itinerari dolomitici, e per me questo è stato fonte di soddisfazione tanto quanto l’escursione stessa.